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Da quando è emersa questa nuova epidemia, divenuta pandemia, causata dal nuovo coronavisrus, una sorta di impazzimento generale e diffuso a tappe in tutto il mondo ha caratterizzato il senso di impotenza sia dei decisori politici che della classe dirigente in generale e anche di una parte dei cittadini che contrastano le decisioni prese.

Abbiamo prima sottovalutato il pericolo e poi ceduto ogni decisione ai comitati tecnico scientifici che come spesso succede nel nostro Paese ora si sono lasciati prendere un po’ la mano quindi abbiamo un tam tam mediatico quotidiano dove ti trovi due virologi che dicono una cosa la mattina come se fosse oro colato e nel pomeriggio due infettivologi smentiscono quanto appena affermato poche ore prima.

È molto giusta l’analisi fatta dallo scrittore Walter Siti: “La televisione, come al solito, è specchio del Paese: dopo settimane di canti dai balconi e bandiere alle finestre, nell’animo degli italiani sembra sia subentrata una gran voglia di attaccare briga”.

Infatti siamo passati, ma era prevedibile a occhi di osservatori attenti all’evoluzione o involuzione se volete della società italiana e non solo, dalla fase iniziale dei luoghi comuni tipo “andrà tutto bene”, “siamo forti”, “ce la faremo”, “sapremo correggere le storture verificate finora”, oppure “la tragedia può diventare un’opportunità”, al “saremo migliori di prima”, ad un clima che tradisce il serpentello che da un paio di settimane si è insinuato nei programmi di approfondimento serale: quello della polemica a ogni costo, la ripresa dell’urlio e della contrapposizione partitica. Il ritornello “questo non è il momento delle polemiche, però” sta lentamente trasformandosi nel consueto agone para-elettorale, con richieste di commissariamento e sfiducie minacciate, ricorsi al Capo dello Stato etc etc.

Insomma come afferma sempre Siti, “si stanno aprendo strani cortocircuiti: i medici e gli infermieri eroi sono contrapposti alle inchieste sulla malasanità, ma qualche operatrice a un centro per anziani, forse, avrà lasciato che un ospite andasse dove non doveva. Sarebbe interessante sapere, tra i vecchi abbandonati, quanti erano regolarmente visitati dai parenti. Ci sarebbe bisogno di narrazioni realistiche, non di polarità stereotipe”.

Imperano i vecchi vizzi italici, tra i quali emergono i tre principali, la retorica sentimentalista, la litigiosità, il rancore, i quali annebbiamo con il continuo rumore di sottofondo quello di buono che resiste ovvero l’efficienza e l’abnegazione di tanti. Siti evidenzia inoltre che “le Procure si stanno intasando di migliaia di denunce e di ricorsi contro multe ritenute ingiuste. I nervi di tutti sono a fior di pelle, l’unico dato materiale che impedisce in televisione gli scontri più pirotecnici è il distanziamento: difficile darsi sulla voce, o minacciare le vie di fatto, quando in studio ci sono solo due poltrone e gli altri litiganti sono collegati via skype, con il sonoro che va e viene”.

Dunque, dinanzi ad una crisi inedita e profonda che coinvolge la vita e soprattutto la morte di tanti esseri umani con il conseguente, profondo tracollo economico e sociale, sarebbe bene tacitare la tanta banale superficialità e ancora purtroppo l’incompetente tracotanza di gran parte di una intera classe dirigente: politica, mediatica, accademica e anche intellettuale, sì, anche perché latita il pensiero, la capacità di indicare la riflessione, una visione di futuro nel tessuto sociale che rischia un serio cedimento.

Dal punto di vista economico il Fondo monetario internazionale prevede calo del Pil nell’area euro del 7,5 per cento, più forte che negli Stati Uniti, che comunque sfiorano il 6,5 per cento e dove la disoccupazione sta esplodendo, e in Italia? Siamo, ancora una volta, il fanalino di coda, meno 9,1 per cento, bisogna fare un salto all’indietro al 1945 per trovare un dato peggiore. L’Fmi prevede inoltre un aumento del deficit pubblico dall’1,6 per cento nel 2019 all’8,3 per cento con un debito pubblico che sale dal 135 al 156 per cento.

E davanti a tutto questo siamo ad uno sterile dibattito tra chi parla di “prima di tutto la salute degli italiani” come se non fosse ovvio, e la pressione del “Dio denaro” come se lo stesso non fosse centrale per il benessere di tutti, senza concentrarsi con attenzione e competenza su come pianificare le varie “fasi” fermo restando che ormai è certa la convivenza con il virus fino alla non solo scoperta del vaccino, ma possibilità di farne usufruire tutti. La questione delle riaperture è delicatissima. Bisogna arrivarci preparati sia per evitare una ricaduta sul rischio contagi e sia, perché, c’è poco da fare, se la gente sta a casa e non va a lavorare non si produce e se non si produce l’economia e tutto il sistema salta.

Non mi soffermo su questo perché ci vorrebbe un report a parte, ma da testimone diretto e non per sentito dire (che è “l’only source”) di tanti decisori siano essi politici locali, regionali o nazionali o componenti di decine di task force, posso affermare quello che sta succedendo in queste settimane alle aziende piccole, medie e grandi. Occorre riaprire, gradualmente, ma non troppo tardi altrimenti l’economia non regge! Bisogna riaprire e in tutta sicurezza, e anche qui da esperto mi permetto, lo dico da anni, di insistere sulla necessita di investire sempre di più sulla salute e sicurezza del mondo produttivo che va dai lavoratori, ai fornitori, ai clienti a tutti gli stakeholder che rappresentano soggetti, individui ed organizzazioni, attivamente coinvolti nell’iniziativa economica di un Paese. Eppure, ancora oggi si tende a lesinare risorse in questo campo, dalla formazione, alle infrastrutture, alla diffusione delle buone pratiche, dei migliori protocolli (evito di usare il termine “best practices”, indice anche questo, l’inglesismo sempre e comunque, di provincialismo…) che non comprendendo la gravità del momento e in modo miope, espongono a sicuro rischio la sopravvivenza stessa di una Impresa.

Invece, mentre siamo avvolti nelle nostre classiche discussioni di lana caprina, gli altri Paesi sul come e sul quando ci scavalcano. Quelli dove la pandemia è arrivata dopo e – si suppone – dopo finirà, hanno stabilito intanto di riaprire. La Germania apre, la Francia di Macron ha deciso che le scuole riaprono l’11 maggio, noi abbiamo già rinunciato, tutti a casa e promossi, se ne riparla a settembre. La Spagna riapre, scuole, aziende, laboratori, uffici e cantieri. Da noi qualcosa ci dirà, forse, il prossimo decreto, denominato aprile ma che uscirà a maggio (!?). Intanto l’Inps, mentre i suoi server vanno in tilt alla prima prova vera di collegamento previsto da parte dei cittadini per accedere ai fondi dello Stato, non dimentica di chiedere ad una azienda il rimborso di tre centesimi. Si, avete capito bene, 0,03 euro, in effetti, a fronte di una richiesta di 12 euro tondi, relativi all’ormai lontano 2014, la società aveva versato proprio 12 euro. Ma si sa l’eterna e indistruttibile burocrazia italica ha effettuato analiticamente un conteggio che portava la quota a 12,03. Tutto questo richiesto con la spedizione di una lettera con relativo costo superiore (gulp…).

Bisogna insistere quindi anche sulla diffusione, direi finalmente, di una vera e propria cultura digitale in Italia, che possa contribuire alla crescita e a far esprimere al meglio la capacità di aziende e PA di offrire servizi digitali al cittadino per competere nei mercati globali. Soprattutto alla luce dell’attuale periodo nel quale, per esempio, lo smartworking è entrato massicciamente nelle nostre attività, come afferma il vice presidente dell’associazione AIDR, Arturo Siniscalchi: “È auspicabile integrare SPID non solo nei servizi della PA ma anche in quelli erogati dai privati, sempre con un’attenzione particolare rivolta al rispetto della privacy”.

Sovrana regna la confusione. Cecità e non consapevolezza del momento storico che viviamo trasudano ovunque, un ministro della nostra Repubblica ha sostenuto, per esempio, che la politica, prima di decidere, aspetta dalla scienza “certezze inconfutabili”, che, anche un bambino sa, non esistono in scienza. Tutti parlano di tutto.

Il Paese purtroppo, non ha memoria, veniamo infatti da anni in cui la competenza era sinonimo di élite e di forze complottiste, di cip sotto pelle e scie chimiche, di negazionismi vari, dall’odio verso la scienza,i vaccini, verso chi sapeva, verso i cd “poteri forti”, verso gli imprenditori e ancora le “odiate multinazionali” (messe sempre lì in qualsiasi strepitio di urla, come prezzemolino) e tanti bla, bla! Molti hanno sottovalutato lo tsunami di pericolosa incompetenza che stava per inondare il Paese, e cosi ci siamo ritrovati oggi la prepotente, incompetente spocchia fattasi addirittura partiti facendo la fortuna di personaggi ora addirittura ai vertici delle Istituzioni che vanno in tv a dire, “meno male che abbiamo in Italia tanti bravi scienziati” e che attendono con ansia il vaccino contro il Covid-19, ma dai?

Si sta consumando uno scambio ambiguo e molto pericoloso tra politici e popolo. Io politico nazionale, amministratore, governatore, sindaco chiudo tutto e me ne vanto, così mi metto al riparo da qualsivoglia recrudescenza del Covid-19, e decido di non decidere. Guadagno consenso facendo crescere la paura e additando al pubblico ludibrio i pochi che non rispettano regole capotiche e farraginose. Nel frattempo vado in Europa a chiedere soldi da poter distribuire a pioggia, certo di ottenerli in nome della Grande Emergenza ma dando allo stesso tempo uno spettacolo di divisione e irrilevanza che sui tavoli internazionali pesano in credibilità e non poco.

A me popolo questo va più che bene, ringrazio il politico di turno che, a parole, mi protegge dal virus, a parole mi promette ciò che non può esser dato ma a me che ragiono “di pancia” va bene tutto e intanto infierisco da zelante delatore sul vicino che non rispetta le regole, alimento fake news sui social e aspetto con la mano tesa che qualcuno continui a prendermi in giro.

E siamo ancora all’inizio, oltre al dramma umano, sanitario ed economico, nell’era “debole” in cui viviamo, il rischio è che l’inconsistenza, l’inciviltà e la viltà del non decidere si suggellino tra loro e producano una nuova ondata di qualunquismo e populismo che minerebbero le radici stesse del convivere insieme.

E non parlatemi di pessimismo o cinismo perché ricordo, con Lillian Hellman, “il cinismo è un modo poco piacevole di dire la verità”.

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