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Gli investimenti pubblici in Italia sono ancora, come percentuale del Pil, di circa un terzo inferiori al livello precedente la crisi finanziaria ed economica del 2008. La loro discesa si è fermata lo scorso anno ma, nonostante le disponibilità di bilancio, non c’è stata la ripresa attesa. I motivi sono quelli consueti: stanziamenti finanziari senza progetti; progetti che quando ci sono si bloccano per le difficoltà delle amministrazioni di condurre correttamente e in tempi accettabili le gare di appalto; lavori appaltati che non partono o si fermano in attesa di autorizzazioni o per contenziosi di durata non prevedibile.

In questo quadro, la realizzazione del Ponte di Genova ha rappresentato un’eccezione e ci si interroga se si possa parlare di un modello replicabile o se esso rimanga legato alla spinta emozionale determinata dalla tragedia del crollo del Ponte Morandi. L’interrogativo è particolarmente importante perché il rilancio degli investimenti pubblici rappresenta una delle leve principali di ripresa dell’economia italiana dalla crisi determinata dal Covid-19.

Poiché l’incertezza dominerà il comportamento di consumatori e imprese anche dopo la ripresa delle attività produttive, gli investimenti pubblici sono gli unici a poter dare il necessario supporto alla domanda interna, nel breve termine, e generare lo stock di capitale pubblico e sociale necessario ad aumentare l’efficienza e la produttività complessiva del sistema produttivo italiano e il rendimento degli investimenti privati. Non da ultimo c’è da considerare che i previsti finanziamenti europei arriveranno, per parte rilevante, a fronte di investimenti pubblici che, tuttavia, dovranno essere inseriti in un’azione di programmazione che si è persa da molti decenni.

Non si tratta, quindi, solo di tirare fuori dai cassetti vecchi progetti, ma di capirne la portata attuale all’interno di piani e programmi con obiettivi ben definiti. Servono, quindi, grandi opere strutturali accanto a molti investimenti diffusi di rigenerazione e di infrastrutturazione del territorio. L’innovazione tecnologica green e digitale e la transizione energetica hanno bisogno di essere trainate anche da un complesso coerente di interventi pubblici.

Tornando all’interrogativo sulla replicabilità o meno del modello Genova, dobbiamo tener presente che esso è caratterizzato dall’insieme di tre fattori eccezionali: un progetto tecnico pronto e vincente, due imprese attuatrici che rappresentano l’eccellenza industriale italiana e, infine, l’applicazione di procedure straordinarie che hanno permesso di utilizzare al meglio e rapidamente queste capacità tecniche. È questo insieme, nella sua apparente semplicità, che crea la possibilità di generalizzazione. La capacità tecnica delle nostre imprese, grandi e piccole, non manca ed è diffusa sul territorio. Mancano invece i progetti, progetti esecutivi ben fatti che non creino immediati problemi in fase di appalto e di esecuzione dei lavori.

Su questo punto pesa la perdita pesante di capacità tecnica progettuale da parte della Pubblica amministrazione, sia nel disegno diretto dei progetti, sia nella valutazione tecnica di progetti altrui. Con riferimento al primo dei tre fattori considerati si richiede, quindi, un investimento massiccio su strutture tecniche di progettazione per sostenere le attività di investimento programmate dalle amministrazioni pubbliche.

Non si sottovaluti, peraltro, quanto la mancanza di supporto tecnico pesi nel determinare la prudenza degli amministratori posti di fronte all’assunzione di responsabilità. Allo stesso fine, si deve richiedere l’immediata modifica del reato di abuso d’ufficio e di danno erariale per superare l’approccio difensivo della burocrazia rispetto ai rischi dell’uso della discrezionalità dirigenziale. Quanto alle procedure autorizzative, per molte opere è certamente possibile replicare il modello Genova.

Ma se per far procedere gli investimenti è necessario agire sempre in deroga alla normativa, è evidente che è la norma ordinaria che va cambiata. La sospensione del Codice degli appalti e l’applicazione della direttiva europea, in attesa di una riflessione attenta sulla modifica del codice stesso, può essere la via più diretta di semplificazione del sistema. Su tutto si richiede però l’assunzione di responsabilità politica nell’amministrare e una ripresa seria dell’attività di programmazione che deve tornare nella sua sede naturale, cioè nel ministero dell’Economia e delle finanze.

Il modello Genova è (davvero) replicabile? La riflessione di Tria

Di Giovanni Tria

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