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Il presidente del Consiglio interviene in diretta Tv sul far della sera e sceglie una tonalità inconsueta: quella del comizio politico. Lo fa scientemente, insistentemente e (anche) fisicamente.

È quel dito sollevato e puntato verso la telecamera a rendere plastico il mutamento genetico impersonato dal prof. Conte stasera, un dito puntato per dare fisicità alla frase decisiva di tutto l’intervento: “Questo governo non lavora con il favore delle tenebre, questo governo guarda in faccia gli italiani e parla con chiarezza. E se ha qualche proposta da portare la porta guardando negli occhi tutti gli italiani”.

Basta con il mediatore tra i partiti della maggioranza, basta con il fine giurista che studia i dossier, basta con il post-democristiano elegante e misurato che cerca di smussare gli spigoli.

Stasera il premier ha scelto il registro del capopopolo, ha scelto di intestarsi una battaglia politica assai più che una funzione di governo, ha scelto di rompere gli indugi e porsi alla testa di una parte dell’Italia, quella che di Salvini e Meloni non vuole sentir parlare nemmeno per scherzo (e neppure di Fontana e Zaia).

Ma non è solo dalla destra che Conte prende le distanze.

Lo fa anche dal Pd, pur dispensando complimenti al ministro Gualtieri. Sì, perché la linea Conte verso gli accordi europei raggiunti poche ore fa non è certo quella di Gentiloni, tanto per fare un nome che conta (l’Italia ha un ex Primo ministro nel ruolo di Commissario Ue, non è poca cosa). È una linea in qualche modo autonoma (no al Mes in qualunque versione, sì a titoli di debito europei che, però, hanno scarsissime possibilità di essere varati) e che ha una caratteristica essenziale: può essere interpretata solo da lui.

È una linea “grillina” per molti versi, ma in una versione totalmente nuova e molto contemporanea poiché tiene conto di tre fattori essenziali.

Primo: Beppe Grillo non è più in grado di incidere sulla situazione e neppure di condizionare i gruppi parlamentari.

Secondo: Luigi Di Maio è abile e, tutto sommato, forte ma non al punto di esercitare una leadership.

Terzo: Alessandro Di Battista è totalmente inadatto alla politica al tempo del virus, tanto è vero che è letteralmente scomparso. Quindi al popolo grillino (ed ai suoi quadri intermedi e parlamentari) resta solo Conte, punto di riferimento di una “cosa” politica tutta da inventare ma che un suo senso (e una sua robusta fetta di potere) ce l’ha eccome.

Eccolo qui, dunque, il Conte in versione comizio (o arringa, per tornare al suo mestiere d’origine).

Un Conte che sbarra la strada ad ogni ipotesi di governo di larghe intese per gestire la crisi, un Conte che accetta il ruolo di Pd e M5S ma a patto che sia lui a tenere il volante, un Conte che si rivolge direttamente alla nazione all’ora della cena (ormai un’abitudine).

La centralità di Palazzo Chigi è la cifra stilistica del discorso-comizio di stasera, un discorso il cui contenuto di merito (date, aperture negozi) è stato ampiamente depotenziato nelle ore precedenti, lasciando arrivare alle redazioni tutte le notizie concrete.Stasera il premier ha scelto di rompere gli indugi e porsi alla testa di una parte dell’Italia, quella che di Salvini e Meloni non vuole sentir parlare nemmeno per scherzo

Contava solo la parte politica, non a caso l’unica non annunciata.

Il premier si prepara dunque alla Fase 2 dicendo a tutti (Quirinale compreso) che lui non ha nessuna intenzione di ricoprire il ruolo che molti vorrebbero assegnargli, cioè quello dell’agnello sacrificale, tanto per restare in clima pasquale.

La scelta di Conte: faccio un comizio

Il presidente del Consiglio interviene in diretta Tv sul far della sera e sceglie una tonalità inconsueta: quella del comizio politico. Lo fa scientemente, insistentemente e (anche) fisicamente. È quel dito sollevato e puntato verso la telecamera a rendere plastico il mutamento genetico impersonato dal prof. Conte stasera, un dito puntato per dare fisicità alla frase decisiva di tutto l’intervento:…

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