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Da sempre, il primo vero compito di ogni aspirante inquilino della Casa Bianca è la scelta del proprio vicepresidente. Joe Biden non fa eccezione, tanto che nomi come quelli delle senatrici Kamala Harris, Amy Klobuchar ed Elizabeth Warren hanno da tempo affollato le cronache giornalistiche e le analisi più sofisticate. Cosa questa non sorprendente, dato che tutte e tre godono da tempo di una grande notorietà da ultimo accresciuta dalla loro partecipazione alle recenti elezioni primarie del Partito Democratico. Tuttavia, la notorietà del suo compagno di corsa non è necessariamente un qualcosa di cui Biden ha un particolare bisogno in questa nuova fase della sua lunga carriera politica, perché quanto a notorietà l’ex vicepresidente di Barack Obama non è secondo a nessuno.

Ciò di cui Biden sembra invece aver bisogno è di un compagno di corsa in grado di aiutarlo nel riunificare un partito ormai da tempo fratturato e nello spingerne in massa gli elettori alle urne. Eppure, di un tale compagno di corsa non s’intravede ancora traccia all’orizzonte perché i parametri che sembrano guidarne la scelta non sono necessariamente coincidenti con questi obiettivi. Biden sembra voler scegliere una donna, sembra stia prendendo in seria considerazione una persona di colore, sembra voler qualcuno molto più giovane di lui, sembra preferire un volto nuovo, sembra desiderare qualcuno pronto a svolgere il suo ruolo fin il primo giorno e, infine, vuole qualcuno con il quale ci sia una sintonia personale oltreché politica.

Nel suo insieme, si tratta di un elenco apparentemente ragionevole per quanto trascuri almeno un altro paio di fattori che pure potrebbero rivelarsi determinanti. Il primo è che la scelta del vicepresidente dovrebbe aumentare il sostegno goduto da Biden tra le minoranze non nere, prima tra tutte quella latina. Il secondo è che, come già detto, il compagno di corsa dovrebbe coprire il fianco sinistro del partito. Biden si è rivelato la scelta ideale per riportare all’ordine i moderati, ma se i progressisti che hanno finora entusiasticamente sostenuto il senatore Bernie Sanders finiranno per disertare anche solo in parte le urne, ogni speranza di successo per il Partito Democratico deve essere seriamente ridimensionata. Sotto questo punto di vista, Biden ha fatto e continua a fare un gran lavoro, ma non c’è alcuna certezza che alla fine il tutto si rivelerà sufficiente, dato che l’intera galassia progressista non manifesta ancora alcun vero entusiasmo nei confronti della sua candidatura. Ci sono poi ancora altre cose da considerare, a partire dal fatto che in genere si cerca di scegliere per la vicepresidenza un qualcuno proveniente da uno stato critico ai fini del risultato elettorale. Quest’anno potrebbe essere il Maine, oppure il Nebraska, due realtà molto lontane dal produrre un praticabile candidato alla vicepresidenza che risponda ai parametri finora identificati da Biden.

Mai facile in passato, per quanto spesso irrilevante, la scelta del nuovo eventuale vicepresidente è poi complicata dal fatto che se vincerà le elezioni Biden sarà un presidente particolarmente anziano, tanto che sono in molti a non credere probabile una sua ricandidatura nel 2024. In una situazione nella quale il ruolo del vicepresidente potrebbe improvvisamente diventare molto più importante del solito, per il Partito Democratico è senz’altro difficile accettare l’eventuale scelta di un esponente gradito a quella sua componente, per quanto importante pur sempre minoritaria, che negli ultimi anni ha appoggiato Sanders, come per esempio potrebbero essere Nina Turner oppure Ayanna Pressley. In fondo, è per questa stessa ragione, le perplessità sollevate dal suo stesso partito a fronte della sua età avanzata, che fin dall’inizio l’ex vicepresidente ha scartato la possibilità di una scelta trasversale potenzialmente in grado di riportare ad una qualche unità il sistema politico statunitense, sulla falsariga di quella effettuata esattamente vent’anni fa da un altro ex vicepresidente democratico, l’allora aspirante alla Casa Bianca Al Gore. In queste circostanze, posto che nessun essere umano è in grado di soddisfare al tempo stesso tanto i criteri identificati da Biden, quanto quelli che ispirati alle più tradizionali logiche di bilanciamento ideologico e geografico che in passato hanno contribuito all’identificazione di tanti candidati alla vicepresidenza, è chiaro che la scelta che Biden si accinge a fare sarà tutt’altro che ottima e, quindi, tendenzialmente non determinante ai fini di uno scontro che d’altra parte sembra sempre di più configurarsi come un referendum sulla presidenza di Donald Trump.

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Di Lucio Martino

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