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La crisi dei mercati causata dal coronavirus differisce da tutte le crisi recenti quali quelle del 2008 e del 2011. Queste crisi hanno determinato perdite significative sull’azionario (49% e 57%) ma non hanno causato una vera e propria rivoluzione. Cominciano ad apparire riflessioni analitiche, oltre ai consueti reports di gestori. Due studi mi sono parsi particolarmente utili, il lavoro di Stefano Ramelli e Alessandro Wagner (peraltro ancora in bozza) dello Swiss Financial Institute Feverish Stock Price Reactions to Covid-19 e quello di quattro economisti del Boston College (Hiba Hafiz, Shu-Yi Oei, Diane M. Ring Natalya Shnitser) Regulating in Pandemic: Evaluating Economic and Financial Policy Responses to the Coronavirus Crisis. Il primo esamina i mercati sulla base degli andamenti in febbraio e nelle prime settimane di marzo ed il secondo alle implicazioni per la regolazione. Sono, per molti aspetti complementari.

In breve, Covid-19 rappresenta un rischio temibile e nuovo e pone una grande sfida per gli individui, per i responsabili delle politiche economiche e per gli investitori. Una prima analisi delle reazioni dei prezzi delle azioni al Covid-19 suggerisce che il mercato ha inizialmente risposto in modo relativamente ordinato valutando le conseguenze economiche dell’epidemia in evoluzione. Negli andamenti delle Borse, le azioni delle aziende farmaceutiche sono andati relativamente bene (come era da aspettarsi) ed anche quelle delle telecomunicazioni e dei servizi di pubblica utilità in generale.

In netto contrasto con le fasi di incubazione e esplosione del virus, i movimenti dei prezzi delle azioni durante il periodo della febbre di fine febbraio e a partire da marzo 2020 non può essere spiegata dalla dipendenza da componenti cinesi o dall’esposizione alle esportazioni verso la Cina delle imprese europee e statunitensi. Le mosse del mercato aggregato sono coerenti con l’osservazione di Shiller che i prezzi delle azioni sembrano muoversi troppo rispetto alle variazioni nel flusso di cassa futuro. In particolare, l’analisi dei movimenti azionari rivela che gli investitori hanno iniziato a preoccuparsi dell’elevato debito societario e delle possibilità di sopravvivenza delle imprese con poco liquidità. Gli investitori possono inizialmente essersi preoccupati principalmente dei flussi di cassa, ma hanno applicato tassi di sconto più elevati con l’aumento del rischio. La crisi sanitaria si è trasformata in una possibile crisi finanziaria.

Domande importanti sono, ad esempio, se gli investitori tipicamente sofisticati nei mercati a reddito fisso hanno risposto con acume o no, se la struttura a termine degli spread creditizi riveli intuizioni sulle aspettative degli investitori circa l’orizzonte temporale su cui si sviluppano le conseguenze del Covid-19 e su come le banche stanno adeguando le loro valutazioni del rischio e le pratiche di prestito. È necessaria anche un’attenta analisi dei prezzi delle azioni internazionali e delle correlazioni dei prezzi delle obbligazioni. Se si misurano adeguatamente i legami commerciali internazionali tenendo conto delle catene di approvvigionamento globali e delle misure di valore aggiunto, l’integrazione reale tra Paesi prevede effettivamente una maggiore integrazione dei loro mercati azionari. Una rottura delle catene di approvvigionamento globali ridurrebbe pertanto ulteriormente il già indebolito quadro commerciale internazionale e porterebbe, pertanto, a una minore integrazione del mercato. Ciò, a sua volta, aumenterebbe i benefici della diversificazione internazionale per gli investitori.

Il lavoro del Boston College mette in rilievo un aspetto poco noto in Europa. Il Covid-19 sta innescando un riassetto della regolamentazione finanziaria negli Stati Unit sulla base di tre obiettivi parzialmente in conflitto tra loro: a) definire una rete di sicurezza sociale per le famiglie in stato di necessità; b) gestire rischi economici e finanziari sistemici; e c) incoraggiare distanziamento sociale per limitare il contagio. Il lavoro esamina in particolare un provvedimento recente: il Families First Coronavirus Responses Act del 18 marzo scorso.

Il virus cambia i mercati. Pennisi spiega come

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