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“Sono convinto che ogni parola che pronuncio oggi potrebbe la prova di un crimine nell’aula di un tribunale cinese nel prossimo futuro”. Così Joshua Wong, segretario di Demosisto e uno dei volti più noti dei movimenti pro democrazia a Hong Kong, ha parlato della nuova Legge sulla sicurezza nazionale che la Cina si appresta a imporre sull’ex colonia britannica nel corso del Copenhagen Democracy Summit organizzato dalla fondazione Alliance of Democracies, fondata da Anders Fogh Rasmussen, ex premier danese e segretario generale della Nato. 

L’intervista con Wong è il primo di una lunga serie di appuntamenti di questo summit che continuerà fino a domani e vedrà la partecipazione di, tra gli altri, Tsai Ing-wen, presidente di Taiwan; Malcolm Turnbull, ex premier australiano; Věra Jourová, vicepresidente della Commissione europea; gli ex segretari di Stato statunitense John Kerry e Madeleine Albright; Mircea Geoană, vice segretario generale della Nato; Brad Smith, presidente di Microsoft. A chiudere i lavori, domani dalle 17.30 ora italiana, il segretario di Stato statunitense Mike Pompeo, che discuterà con Rasmussen in un dialogo intitolato “China and the Challenge to Free Societies”.

Ma oggi, subito dopo l’introduzione di Jonas Parello-Plesner, il “palco” è stato affidato al segretario generale di Demosisto, moderato da Ryan Heath, giornalista di Politico. La scelta degli organizzatori — rafforzata da un’altra, quella di Pompeo in chiusura — dimostra la sensibilità della fondazione verso la questione cinese oltre che l’urgenza della stessa. “Siamo cresciuti in sofferenze, lacrime e commiserazione, ma credo che un giorno ce la faremo”, ha detto ottimista Wong. Che ha ripetuto anche in quest’occasione che secondo lui “non si tratta solo di combattere per Hong Kong. Prima Hong Kong, poi Taiwan, infine il resto del mondo”.

Wong fa appello alla comunità occidentale che nelle ultime ore ha dato il suo primo segno di compattezza sulla questione. I ministri degli Esteri degli Stati membri del G7 hanno espresso “grave preoccupazione” per la decisione della Cina di imporre la legge sulla sicurezza nazionale a Hong Kong, invitando il governo cinese a “riconsiderare” la decisione. L’applicazione della legge sulla sicurezza nazionale cinese a Hong Kong rischia di “compromettere seriamente” il principio “Un Paese, due sistemi” e “l’alto grado di autonomia” dell’ex colonia britannica. A firmare la dichiarazione i ministri degli Esteri di Stati Uniti (Mike Pompeo), Canada (Francois-Philippe Champagne), Francia (Jean-Yves Le Drian), Germania (Heiko Maas), Giappone (Toshimitsu Motegi), Italia (Luigi Di Maio), Regno Unito (Dominic Raab) e dall’Alto rappresentante dell’Unione europea per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell. La decisione di Pechino mette a repentaglio “il sistema che ha permesso ad Hong Kong di crescere” e che ne ha fatto “per molti anni una realtà di successo”. “Siamo inoltre estremamente preoccupati”, si legge ancora, “che questa azione possa ridurre e attentare ai diritti fondamentali e alle libertà di tutta la popolazione protetta dallo stato di diritto, nonché all’esistenza di un sistema della giustizia indipendente”.

Commenti respinti prontamente da Pechino. In un vertice alle Hawaii con il segretario di Stato americano, Mike Pompeo, il capo della diplomazia cinese, Yang Jiechi, ha detto che Pechino “si oppone con forza al comunicato diffuso dai ministri degli esteri del G7 sulle misure riguardo Hong Kong”. A dimostrazione della distanza delle parti.

Infatti, per quanto Pechino abbia definito “costruttivo” l’incontro alle Hawaii le parti sono ancora molto lontane. L’esito finale è stato un accordo di essere d’accordo a migliorare le relazioni: sostanzialmente nulla di concreto. La Cina vuole sì avere un rapporto rispettoso e pacifico con gli Stati uniti, ma non a prezzo di rinunciare a difendere il suo territorio, la sua sicurezza e il suo sviluppo (leggasi: Hong Kong, Taiwan e Xinjiang). Il portavoce del ministero degli Esteri cinese Zhao Lijiang ha avvertito che “la determinazione della Cina a procedere verso una legge sulla sicurezza nazionale a Hong Kong è incrollabile”, ha avvertito il portavoce del ministero degli Esteri.  “La Cina – ha proseguito – si oppone risolutamente all’interferenza Usa nelle questioni di Hong Kong e al comunicato dei ministri degli Esteri del G7 su Hong Kong”.

Neppure Washington è soddisfatta. Il comunicato del dipartimento di Stato parla di “importanti interessi americani e la necessità per un rapporto reciproco tra le due nazioni attraverso interazioni commerciali, di sicurezza e diplomatiche”. Il segretario Pompeo ha ribadito la richiesta di una “piena trasparenza e condivisione dell’informazione per combattere la pandemia Covid-19 e prevenire futuri focolai”.

Cina e Stati Uniti continuano a parlare lingue diverse ma il tempo scorre: la nuova legge potrebbe essere approvata entro la fine di giugno ed essere rapidamente applicata per reprimere le libertà a Hong Kong.

Hong Kong è solo l’inizio, dice Joshua Wong. Intanto, il G7…

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