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Come ripartire? Ce lo chiediamo tutti in queste settimane di quarantena. Quando sarà terminata, o meglio governata, l’emergenza sanitaria ci sarà da ricostruire un Paese colpito e indebolito. Oggi è necessario combattere la prima battaglia, quella del contenimento del contagio, della diminuzione di morti e della ricerca del vaccino. Ma non si può rimandare a domani la cura dell’emergenza economica.

Il virus ci imporrà nuove regole e nuovi stili di vita. Forse non torneremo mai alla normalità di prima. Convivere con tempi e spazi diversi sarà obbligatorio. Abituarsi responsabilmente e rispettare le indicazioni saranno atti di maturità che ognuno di noi dovrà compiere. Mentre, però, le giornate scorrono tra numeri confortanti e cauto ottimismo sui contagi, l’economia dell’Italia sta crollando. Intere filiere produttive sono in grande difficoltà, alcune attività non sanno se e quando riapriranno.

Chi fa impresa oggi sopravvive al presente ma non sa come e se arriverà ai mesi successivi. Oggi va tamponata l’emergenza ma è sui prossimi 50 anni, su un progetto strategico di lungo periodo, che ci giochiamo la stabilità e lo sviluppo del Paese. Quali priorità nell’immediato e cosa fare per il prossimo futuro?

Alcuni spunti, relativi al mio osservatorio professionale, per fronteggiare l’oggi.

Apertura attività: è necessaria una graduale apertura delle attività che non consentono il ricorso allo smart working. Vanno stabilite regole chiare, dati strumenti ai datori di lavoro, definite sanzioni rigorose. I lavoratori devono sentirsi sicuri ed essere tutelati, gli imprenditori mostrare maturità e senso di responsabilità. Il paese deve ricominciare a muoversi. Con operatività differenti, probabilmente, ma non può non ripartire.

Lavoro agile: va favorito lo smart working. Le aziende che svolgono attività compatibili con tale modalità devono prediligerla. Questo significa che molti uffici saranno inutilizzati, vuoti, chiusi. È, quindi, necessario rafforzare e prevedere incentivi affinché, in attesa del ritorno alla normalità, gli imprenditori non siano costretti a sostenere costi per beni inutilizzati, non a danno, però, dei proprietari di immobili. All’agilità del lavoro dovranno corrispondere anche regole più flessibili e oneri più leggeri.

Liquidità: le imprese e i professionisti (spesso ce ne dimentichiamo) hanno necessità di liquidità. Dovranno essere garantiti iter veloci e poco farraginosi di accesso al credito. Requisiti chiari ma rigorosi, per favorire investimenti veri e non aiutare i furbi. Non abituare all’assistenzialismo ma spingere lungimiranza e nuove idee, in un sistema di do ut des. Sospensioni fiscali e contributive di medio periodo per chi davvero sta in difficoltà. Chi può pagare deve essere incentivato a farlo: la menzione non è un incoraggiamento. Chi non è in grado ora di far fronte all’onere, non lo sarà nemmeno fra due mesi. Abbiamo indebitato l’Italia per sostenere i nostri nonni e un paese per vecchi. Forse è arrivato il momento di farlo per le nuove generazioni.

Definita la road map per mettere aziende e professionisti nelle condizioni di lavorare, va pensato un progetto di medio-lungo periodo, partendo da alcune direttrici, desunte dal nostro lavoro quotidiano.

Semplicità: va avviato un percorso di semplificazione di processi e modalità. L’Italia va resa più semplice. Non devono esserci alibi per chi vuole fare né costi da sostenere per il tempo perduto. Sburocratizzare, ridurre/non duplicare norme, applicare le leggi esistenti utili.

Responsabilità: la politica deve assumersi la responsabilità della decisione ma anche della delega vera. Strutture tecniche e competenze professionali devono essere messe nelle condizioni di scegliere e di essere autonome. Non c’è tempo per comitati consultivi, duplicazione di decisori: la politica individua uomini e donne (non troppi) ma poi riconosce poteri veri.

Visione: l’Italia ha bisogno di costruire un progetto che guardi non a domani ma ai prossimi 50 anni. In questa prospettiva non c’è spazio per ideologismi, cieche rivendicazioni politiche: l’unità nazionale e il rispetto per e delle istituzioni devono rappresentare certezze, prerogative e non ambizioni. È necessario favorire investimenti, sbloccare il Paese, metterlo in movimento. Fare un piano economico a lungo termine, con un approccio manageriale come si fa in un’azienda. Va definito un vero processo di razionalizzazione che non si riduca alla solita spending review e ai tagli lineari ma ad un percorso di ridefinizione delle funzioni: solo così si riducono costi e si accresce efficienza ed efficacia della macchina statale.

Merito: vanno scelti i migliori e non i fedeli, andando oltre lo spoil system. Un vero statista sa che sono le donne e gli uomini ombra a fare la differenza. Chi saprà delegare, fidarsi e attorniarsi di menti brillanti e professionalità riconosciute sarà in grado di (ri)disegnare le sorti dell’Italia. O almeno potrà provarci davvero.

Sinergia: politica e interessi privati devono (ri)pensare insieme il paese, in un rapporto di collaborazione senza pregiudizi ma costruttivo e propositivo. Vanno definiti processi partecipativi alla decisione pubblica snelli ma effettivi: pubblico e privato dovranno vicendevolmente ascoltare, dare e agire. Politica ed economia dovranno essere partner e non soggetti in competizione. Senza un patto vero e non solo annunciato tra generazioni, professionalità, competenze non andremo molto lontano.

Io voglio lasciare ai miei figli e ai miei nipoti un Paese che non solo sa rialzarsi ma che sa soprattutto guardare lontano. In questo senso ognuno – nessuno escluso – dovrà metterci del suo. Forse è arrivato il momento del salto. Quello culturale.

Consigli per curare l'emergenza economica (oggi e domani)

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