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Tra la crisi libica e le turbolenze che attraversano il Sahel, un riorientamento degli impegni militari dell’Italia pare scontato. Inizieranno a breve le discussioni sul nuovo decreto missioni, provvedimento su cui non potranno non pesare gli sconvolgimenti delle ultime due settimane. Tra le proposte per riattivare la missione Sophia e l’ipotesi di una forza d’interposizione Onu in Libia, l’Italia potrebbe spostare una parte dei propri contingenti su interessi più vicini. Riguardano anche il Sahel, dove la Francia chiede gran voce supporto per contrastare la crescente azione dei jihadisti.

IL VERTICE

Ieri, Emmanuel Macron ha riunito a Pau, sui Pirenei francesi, i presidenti dei Paesi del G5 Sahel (Ciad, Niger, Burkina Faso, Mali, Mauritania), quelli su cui si snoda l’imponente missione Barkhane di contrasto al terrorismo, con circa 4.500 militari francesi. Insieme a loro, l’inquilino dell’Eliseo ha voluto anche il segretario generale dell’Onu Antonio Guterres, il presidente dell’Unione Africana Moussa Faki e il presidente del Consiglio europeo Charles Michel. Il messaggio di Macron aveva difatti un doppio destinatario: i Paesi africani (chiamati a un maggior impegno) e gli alleati europei (per un sostegno all’azione francese). Un prima risposta è arrivata da Michel: “A Pau abbiamo gettato le basi per una mobilitazione rafforzata contro il terrorismo e per la stabilità nel Sahel; dobbiamo intensificare i nostri sforzi”.

ALTA TENSIONE

Da tempo Parigi reclama supporto in un’area incandescente. Come riportano i quotidiani transalpini, il quadro descritto da Macron è preoccupante: la Francia non riesce a controllare da sola la stabilità del Sahel, un’area vasta quanto l’intera Europa. In una sola settimana, dal 3 al 9 gennaio, gli assetti aerei francesi dell’operazione Barkhane hanno effettuato 98 sortite tra missioni caccia, rifornimenti e intelligence. Come riportato dai militari francesi, da diverse settimane le azioni dei jihadisti che imperversano nell’area si sono fatte più violente. Tra lo Stato islamico nel Grande Sahara (Eigs), i gruppi affiliati a Boko Haram e altre formazioni armate, l’azione transalpina ha visto dunque un’attività crescente nell’ultimo periodo. La scorsa settimana, l’esercito nigerino ha subito il peggior attacco degli anni recenti, con 89 soldati uccisi dalle forze di Daesh al confine con il Mali.

LA MISSIONE FRANCESE

Lanciata nell’agosto 2014, l’operazione Barkhane ha sostituito la missione Serval, volta al contrasto del terrorismo jihadista nei Paesi del Sahel. Oggi l’impegno francese conta 4.500 militari, circa 830 veicoli militari, tre droni e una trentina tra caccia (Mirage 2000), velivoli da trasporto ed elicotteri. Lo scorso 25 novembre la missione ha subìto il colpo più duro dal suo avvio con tredici vittime nello scontro tra due elicotteri. Pochi giorni dopo, ricevendo all’Eliseo il segretario generale della Nato Jens Stoltenberg, il presidente Macron ha annunciato un revisione dell’operazione chiedendo agli alleati di fare di più per la stabilità e la sicurezza del Sahel. Più di recente, a metà dicembre, arrivava notizia dell’imminente armamento dei droni Reaper dispiegati in Niger, con il duplice obiettivo di alleggerire il ruolo delle forze a terra e di rendere più efficace la missione.

LE RICHIESTE…

Oltralpe, le critiche sull’efficacia della missione premono il governo, affiancate dai timori che cresca nella regione il sentimento anti-francese. E così, già a inizio novembre, in visita al contingente in Mali, il ministro Florence Parly annunciava “la creazione di un’unità europea delle forze speciali”. Dal 2020, spiegava, le forze speciali francesi saranno affiancate da quelle dei partner europei per formare i soldati maliani. In Mali sono d’altra parte attive Eutm, la missione d’addestramento targata Unione europea, il cui quarto mandato arriva fino a maggio del prossimo anno con 600 miliari, e Minusma, l’impegno dell’Onu (con 15mila unità) giunto al quinto mandato dal 2013, quanto scattò per sostenere la stabilizzazione del Paese dopo il colpo di Stato dell’anno precedente.

…E LE PROPOSTE

L’invito francese arriva all’Europa nel pieno del dibattito sulla necessità di un impegno più determinato (anche militarmente) in Libia, Paese connesso alle turbolenze del Sahel. Su queste colonne, il generale Claudio Graziano, presidente del Comitato parlamentare dell’Unione europea, ha chiesto una piena ripresa operativa della missione Sophia nel Mediterraneo. Il ministro Luigi Di Maio ha proposto una forza di interposizione con i caschi blu dell’Onu, simile all’impegno Unifil in Libano. Dalla Russia, nonostante le complicazioni sui negoziati tra Fayez al Serraj e Khalifa Haftar, arrivano indicazioni su un controllo delle Nazioni Unite sull’eventuale intesa per la tregua (che ora pare però allontanarsi).

RIORGANIZZAZIONE ALL’ORIZZONTE?

Tutto questo chiama in causa anche l’Italia, alla prese con la necessità di approvare il nuovo decreto missioni per il 2020. Domani mattina il ministro Lorenzo Guerini interverrà di fronte le commissioni Difesa di Camera e Senato proprio per parlare dei contingenti all’estero. Immaginare una riorganizzazione degli impegni all’estero è lecito, senza lasciare però scoperte missioni che restano strategiche come Iraq e Libano. Secondo gli esperti (ce lo aveva spiegato il generale Mario Arpino), si potrebbe iniziare con il ritiro dall’Afghanistan, dove la permanenza di 800 militari appare oggi non più in linea con la strategia italiana di proiezione internazionale. L’obiettivo è ri-orientare gli impegni per presidiare interessi più vicini e trovare intese a livello europeo, dalla Libia al Sahel.

L’IPOTESI DI UNA SPONDA FRANCESE

È ipotizzabile ragionare sulla sponda francese. Rispondere alle richieste di Parigi sul sostengo nel Sahel potrebbe infatti agevolare le strategie italiane sulla Libia, offrendo un contesto utile all’emersione di quel “ruolo europeo” da tutti invocato per le turbolenze nordafricane. Stabilizzare la regione è interesse prioritario della Penisola, tra lotta al terrorismo, contrasto alla criminalità, controllo dei flussi migratori e opportunità energetiche. Se ne starebbe già parlando. Sono cambiati i tempi da quando la missione italiana in Niger subiva degli stop sospetti, per taluni frutto anche dell’insoddisfazione di Parigi per una nostra presenza in un’area che i francesi ritengono di loro competenza. Oggi la Francia chiede a gran voce un sostegno nel Sahel, e l’Italia potrebbe rispondere.

LE LINEE DI GUERINI

Lo dimostrano le linee programmatiche del ministro Guerini: “Coerentemente con l’interesse strategico verso il continente africano intendo rivedere, in coordinamento con il ministro degli Esteri, la geografia complessiva del nostro impegno già in atto in Maghreb, Sahel e Corno d’Africa”. Si tratta di ricercare “maggiore efficacia e aumentare la sinergia con i nostri partner”. E a chi gli contestava il rischio di divergenze con Parigi, Guerini ribadiva: “Qualunque iniziativa nella regione non può non tenere conto del ruolo della Francia, attore ineludibile nel Sahel”. Perciò, “ritengo che la ricerca di un approccio congiunto e strutturato con Parigi sia necessario, fermo restando la volontà di proseguire bilateralmente i prioritari interessi nazionali”.

I RAPPORTI CON GLI USA

Un riorientamento passerebbe anche per la sponda statunitense. Non è un segreto che l’amministrazione Trump voglia ridurre gli impegni all’estero, ragion per cui chiede da tempo agli alleati un supporto maggiore. Ciò riguarda anche l’Africa. Nella sola parte occidentale gli Usa stanziano settemila uomini, ma ci sarebbe già un piano di ritiro. Tra l’altro, Guerini sarà a fine mese al Pentagono per incontrare il collega Mark Esper. La telefonata tra loro (con il ringraziamento del segretario Usa all’Italia per l’impegno nelle missioni comuni) fu il primo contatto ufficiale tra i governi di Roma e Washington dopo l’uccisione in Iran di Qassem Soleimani. È il dialogo strategico che serve alla proiezione dell’Italia.

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