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Il segretario alla Difesa statunitense, Lloyd Austin, ha ordinato al Carrier Strike Group della USS Lincoln di accelerare lo spostamento verso l’area di responsabilità del Comando Centrale, aggiungendo capacità a quelle già fornite dalla USS Roosevelt. Significa che il Pentagono vuole due portaerei in Medio Oriente, e questo perché teme che l’attacco iraniano di rappresaglia potrebbe essere questione di giorni — o di ore. E dunque, sbagliavano le ricostruzioni secondo cui il presidente Masoud Pezeshkian sarebbe riuscito a convincere la Guida suprema, Ali Khamenei. sulla necessità di evitare una ritorsione armata per lo schiaffo subito con l’eliminazione a Teheran del leader di Hamas Ismael Haniyeh? Oppure è tutta postura: mosse di guerra psicologica, parte del gioco d’altronde. Mentre si cerca di analizzare una situazione assolutamente fluida, 30 razzi lanciati da Hezbollah cadono sul nord di Israele — ma ormai è un evento che attira attenzione solo in momenti di tensione, e però è una quotidianità che va avanti dall’8 ottobre, ossia dal giorno dopo dell’attacco di Hamas che ha dichiarato l’inizio delle ostilità in corso.

Il CentCom ha anche pubblicato le immagini dello USS Georgia nelle acque del Mediterraneo in esercitazione con i Marines della 2nd Force Reconnaissance Company. E anche questa è una psy-ops: il sottomarino nucleare americano Classe Ohio è una delle più sofisticate e temibili macchine da guerra in circolazione, simbolo della capacità strategica statunitense, dotato di 154 missili Tomahwak e in grado da solo di arrecare quella serie di “conseguenze devastanti” di cui Washington minaccia da tempo Teheran per evitare che slitti la frizione della rappresaglia. Insieme ci sono gli F22 atterrati nei giorni scorsi nelle basi mediorientali e gli F35 imbarcati nelle portaerei: velivoli tecnicamente in grado di penetrare le difese aeree iraniane senza essere visti.

Nel gioco psicologico queste dimostrazioni di forza contano, perché in fondo è tutta una questione di quanto dura e dannosa sarà la rappresaglia — e occorre dunque spingere Teheran alla calma. Chi attacca sa che poi deve temere un contrattacco quanto meno proporzionato, secondo il principio di reciprocità, — che darebbe chiaramente diritto de facto a Teheran di colpire lo stato ebraico, perché scegliere la cerimonia di inaugurazione del nuovo presidente per assassinare a sangue freddo il capo del Politburo nella capitale iraniana equivale a una dichiarazione di guerra. Ed è anche per questo che Israele non ha mai ammesso di aver compiuto quell’operazione — a differenza di quella contemporanea e altrettanto profonda contro il leader militare di Hezbollah, Faud Shukr, a Beirut. E però, una spirale di rappresaglia rischia rapidamente di scivolare verso un conflitto — che tutti vogliono evitare (perfino i russi, che nel caos guadagnano sempre, temono una eccessiva caotizzazione).

La Cina sostiene l’Iran nel difendere la sua “sovranità, sicurezza e dignità nazionale”, ha detto il capo della diplomazia del Partito/Stato, il ministro degli Esteri cinese Wang Yi, al ministro degli Esteri iraniano, Ali Bagheri Khani, in una telefonata in cui domenica sera ha ripetuto la denuncia “dell’assassinio” del capo di Hamas, dicendo che l’attacco aveva violato la sovranità dell’Iran e minacciato la stabilità regionale. Pechino prende parte al gioco diplomatico psicologico. “La Cina sostiene l’Iran nel difendere […] nei suoi sforzi per mantenere la pace e la stabilità regionali, ed è pronta a mantenere una stretta comunicazione con l’Iran”, ha detto Wang secondo il comunicato cinese. E però, con le forniture energetiche collegate al Golfo, la Repubblica popolare tutto vuole fuorché una guerra. Anzi, annunciare pubblicamente di comprendere le ragione e il diritto sacrosanto di Teheran alla rappresaglia serve proprio per limitarla — o proprio evitarla.

C’è in ballo la preparazione alla gestione del raid (o dei raid) dunque. Gli Stati Uniti muovono assetti militari e diplomatici col fine di accelerare anche sul negoziato per il cessate il fuoco a Gaza, e e il collegato scambio di ostaggi, organizzato per i prossimi giorni. Potrebbe essere un aiuto agli sforzi di Pezeshkian di evitare la rappresaglia — sforzi sostenuti anche dall’Unione europea, con alcuni dei leader che hanno contattato Teheran dimostrando la possibilità di apertura, altro pezzo del gioco psicologico (con cui dimostrare all’Iran che un futuro comunicante è possibile, ma dipende anche dalle capacità di autocontrollo). Nel valzer attorno alla guerra di Gaza, Pechino prova invece a posizionarsi per il dopo: nel lungo termine cerca di farsi sponsor di un accordo intra-palestinese per la gestione del post-bellico (che ci sarà comunque, qualsisia siano le evoluzioni); nel breve vuole chiamarsi fuori da eventuali scambi di attacchi che potrebbero infiammare ancora la situazione (e preferisce scambi di accuse tattici aspettando l’aftermath).

Al momento, Israele pare convinto che i negoziati salteranno perché l’Iran ordinerà la rappresaglia prima della nuova riunione del formato negoziale (che dovrebbe esserci a Ferragosto). Però intanto il governo Netanyahu ha accettato di esserci per dimostrare buona volontà. Secondo le indiscrezioni che le fonti iraniane fanno circolare citando altri articoli (vedi Axios) che quotano a loro volta fonti anonime dell’intelligence di Tel Aviv, dunque corroborandole, l’attacco ci sarà eccome. Ronen Bergman uno dei più informati giornalisti su Israele, dice alla CNN che secondo l’ultimo assessment, Hezbollah attaccherà per prima, poi a stretto giro seguirà l’Iran. Tutto potrebbe avvenire oggi, la vigilia di Tisha B’Av, giorno di lutto che segna i disastri nella storia ebraica.

Secondo i resoconti locali suggeriti da quelle fonti israeliane, nella notte è stato effettuato un attacco aereo contro un complesso di bunker dell’esercito siriano a circa cinque chilometri a sud dell’aeroporto di Shayriat, che si trova a sud-est della città di Homs. L’aeroporto e l’area circostante fungono da stazione intermedia di stoccaggio per il corridoio terreste usato nel trasferimento delle armi dall’Iran alle milizie dell’Asse della Resistenza. Queste armi entrano in Siria nell’area di Al Bukamal attraverso Palmira e da lì arrivano all’area di Homs. Successivamente le armi vengono trasportate verso ovest fino alla costa siriana o verso sud-ovest fino all’area delle città di Qusayr, Hawsh Al Sayyed Ali, Qasr, Kara, spiegano gli israeliani. Poi vengono portate in Libano e date nelle mani di Hezbollah, oppure lasciate a disposizione delle milizie sciite in Siria. Le basi dell’esercito siriano di Bashar El Assad, con cui alcuni Paesi europei stanno ricostruendo le relazioni diplomatiche, vengono utilizzate “come comodo luogo di stoccaggio temporaneo per le armi provenienti dall’Iran e destinate a colpire Israele tremore Hezbollah o le milizie sciite in Siria”.

Anche il raid siriano ha una sua dimensione psicologica. Serve a far capire che Israele può colpire sia la catena di forniture (come fa dal 2013, sebbene essa sia più strutturata e robusta e sia sopravvissuta più che funzionante ai costanti bombardamenti iraniani), sia penetrare direttamente contro le strutture nucleari iraniane (come dimostrò nel contrattacco simbolico alla rappresaglia iraniana di aprile). È del tutto possibile che queste formule dimostrative e le attività diplomatiche non bastino a fermare la dinamica ormai innescata. D’altronde, parte della stabilità del regime iraniano (quella relativa alle posizioni più conservatrici) dipende anche dalla rappresaglia — che comunque, dice Teheran, non danneggerà i colloqui per un cessate il fuoco a Gaza. D’altronde non può ammettere che per proprio interesse esistenziale (quello è al di là del diritto di risposta) affoghi i fratelli palestinesi sotto le bombe israeliane — che continuano a cadere e che hanno prodotto oltre 40mila morti in dieci mesi. Mentre questa analisi va in pubblicazione, esce la notizia delle dimissioni premature del vicepresidente Javaf Zarif: uomo di dialogo, aveva ricevuto l’incarico di curare gli affari strategici e gli equilibri (anche di genere) nella selezione dei ministri dell’amministrazione. Dice di non essere riuscito già, dopo appena undici giorni, nel suo compito: parla dell’inclusione delle donne, ma non è che sottintende anche qualcos’altro a proposito della rappresaglia?

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