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Il voto di larga maggioranza che oggi a Strasburgo ha dato la fiducia alla Commissione Ue di Ursula von der Leyen è un primo, importante check-in per la nuova legislatura. Non è abbastanza, però, perché i partiti europeisti possano tirare un sospiro di sollievo, dice a Formiche.net Sergio Fabbrini, politologo, direttore del Dipartimento di Scienze Politiche alla Luiss Guido Carli.

Professore, la von der Leyen è stata eletta con una maggioranza più ampia rispetto allo scorso luglio. È un segnale di forza?

Sì, fa tirare un sospiro di sollievo alle forze europeiste. Da luglio ad oggi la von der Leyen è riuscita ad allargare il suo sostegno. Questo le dà più spazio di manovra, ma non rimuove gli ostacoli sul percorso.

Quali?

Il primo è la frattura istituzionale che si è creata fra Consiglio europeo e Parlamento. I capi di Stato e di governo hanno cassato il sistema dello Spitzenkandidat, impedito al popolare Manfred Weber di essere nominato per la presidenza e imposto il nome della von der Leyen. È stata un’aperta smentita dei partiti politici, che volevano parlamentarizzare la Commissione trasformandola in un governo di maggioranza.

E il Parlamento?

Non è rimasto con le mani in mano. Il processo di selezione e approvazione dei commissari è stato molto più conflittuale del solito. La bocciatura della francese Sylvie Goulard, un personaggio di grande statura e credenziali europee, è stata una chiara risposta del Parlamento al Consiglio europeo e un avvertimento per il futuro.

Il voto di Strasburgo ha fotografato un’altra volta l’isolamento dei sovranisti. Durerà a lungo?

Credo che i partiti europeisti commetterebbero un grave errore a sentirsi rassicurati. Le ragioni del malessere sociale e identitario del sovranismo sono ancora lì.

Il sovranismo può uscire dall’angolo?

Diversi Paesi hanno capito che il sovranismo allo stato puro non può funzionare. Il primo ad accorgersene è stato il premier ungherese Viktor Orban, che ha deciso di rimanere nel Partito popolare europeo.

Qualcun altro potrebbe imitarlo?

Prima i sovranisti devono scrollarsi di dosso l’ambiguità sull’appartenenza all’Ue e all’euro. Altrimenti dovranno sopportare la stessa conventio ad excludendum che in Italia ha tenuto i comunisti lontano dal governo. Una volta era la Nato a minacciare un intervento, oggi lo fanno i mercati finanziari.

Una Lega nel Ppe è immaginabile?

Se la Lega vuole capitalizzare in Europa il suo consenso e diventare qualcosa di più di un partito antisistema deve ripensare se stessa. C’è stato qualche segnale di apertura dal mondo leghista verso il Ppe, ma un’eventuale adesione non dipende solo dalla Lega. I popolari sanno che un’entrata del Carroccio modificherebbe radicalmente il baricentro del partito.

Torniamo alla Commissione. Sarà a trazione tedesca?

Nonostante la von der Leyen sia tedesca sicuramente non sarà una Commissione influenzata dalla Germania. Ciò non vuol dire che sia controllata dalla Francia. Il contrasto fra istituzioni Ue ha creato un vuoto, uno spazio intermedio che oggi nessuno è in grado di colmare.

Neanche la Germania?

Soprattutto la Germania. Il declino della leadership di Angela Merkel è politico prima ancora che biografico. La Germania non è più in grado di esercitare una forte influenza politica in Europa, non ha una visione innovativa, è paralizzata nella difesa dello status quo. Anzi, la Germania è lo status quo.

Eppure Berlino preme per una riforma del Meccanismo europeo di stabilità (Mes).

È vero, vuole riformarlo, ma per rafforzare i governi nazionali e la sua posizione in Europa, dunque per mantenere lo status quo. Lo stesso discorso vale per l’unione bancaria. Olaf Scholz ha riempito la proposta di condizioni che la rendono più sterile delle aspettative. La Germania è la potenza dello status quo in un mondo che è in continua evoluzione.

Continui.

Gli Stati Uniti proseguono nel loro distacco dal Vecchio Continente, presi dai problemi di politica interna, l’attivismo della Cina è senza precedenti, la Russia ha un ruolo sempre più rilevante sullo scacchiere internazionale e aspira all’egemonia sul confine Est-europeo, che a sua volta persegue obiettivi poco conciliabili con quelli dell’Ue.

Russia e Cina sono i grandi beneficiari del vuoto in Ue?

È evidente che l’indebolimento europeo e l’introgressione americana hanno aperto spazi enormi per Russia e Cina, non solo in Ue. I russi hanno aumentato la loro presenza soprattutto in Medio Oriente, la Cina in Africa ed Europa. Entrambi stanno lavorando per rendere l’Ue una potenza centrifuga, e ci stanno riuscendo.

La Francia di Emmanuel Macron è accusata di un protagonismo lesivo della coesione atlantica ed europea. C’è del vero?

La Francia è l’unica che si è accorta del pericolo e sta cercando di riempire il vuoto. Ha fatto molto discutere la frase di Macron sulla “morte cerebrale” della Nato, ma nessuno si è stracciato le vesti quando la Merkel, a margine di un incontro con Trump, ha detto che “dobbiamo prendere il destino nelle nostre mani”.

È vero però che più di una volta gli interventi di Macron hanno creato discordia in Ue.

Dipende molto dalla concezione che abbiamo dell’Ue. Se la consideriamo un’organizzazione internazionale votata al mantenimento della stabilità geopolitica dell’Europa e delle aree limitrofe, allora la strategia di Macron è discutibile.

C’è alternativa?

Se pensiamo all’Ue come a un attore politico dobbiamo ammettere che non si può continuare nell’allargamento ad Est come in passato. I fatti parlano: ha indebolito l’Ue, e ingrossato le fila della coalizione nazionalista. Credo che un ragionamento a riguardo sia dovuto, e invece a Bruxelles è stato inserito il pilota automatico. La politica è sparita dall’Ue.

Fabbrini, non ci staremo dimenticando dell’Italia?

L’Italia dovrebbe provare a mediare come ha fatto in passato. Recuperare il suo storico ruolo di broker, con una visione che rilanci la sua postura internazionale. Certo, con un governo che ogni giorno litiga ed è sul punto di cadere queste rimangono belle illusioni.

Perché von der Leyen non può ancora esultare. Parla Sergio Fabbrini

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