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Perché il mondo oggi è sull’orlo di una nuova guerra fredda forse più fredda della precedente? Qual è la grande lezione che il mondo non ha avuto ancora il coraggio di guardare in faccia? Basta guardarsi alle spalle per coglierla. Questa lezione, ha scritto il sinologo Francesco Sisci con acume e precisione, è quella di inizio millennio, quando il mondo seppe mettere sotto controllo la possibile pandemia della Sars, con soddisfazione di tutti. Il rischio era enorme anche allora, ma “Oriente” e “Occidente”, cioè Stati Uniti, Europa e Cina, avevano allora una sufficiente fiducia reciproca per aiutarsi a fronteggiarla per tempo, e con successo.

Perché questo non è accaduto nel 2019/2020? Perché questa fiducia è venuta meno. La ridda di voci complottiste, di accuse, e ora di cause miliardarie, ci avvisa Francesco Sisci, non dimostra che la pandemia è la conseguenza della crisi piuttosto che la crisi il prodotto della pandemia?

Le cause di questa sfiducia vanno ricercate indietro nel tempo, probabilmente nell’incomprensione dei motivi dell’altro: forse potremmo dire che la Cina non ha capito che la fiducia derivava da una convinzione: il regime evolverà…

Poteva? Non sta a me né dire se era davvero questa la fiducia che ha creato il passato “circolo virtuoso” né tanto meno cercare di coglierne meglio le condizioni. Ma è lecito vedere nell’erosione della fiducia la causa di quelle paure che ci hanno portato dalla richiesta di aiuti di anni fa all’occultamento del rischio di oggi. Siamo dunque in piena crisi e la pandemia ne è un prodotto. I prodotti che seguiranno di qui possiamo immaginarli, con paura.

Questa premessa, cui uno dei migliori sinologi italiani ci consente di arrivare, ci obbliga a proseguire con le gambe nostre: come si supera una crisi di fiducia così grave e profonda? I posizionamenti in una crisi del genere non sono il frutto di valutazioni, ma di processi ormai consolidati nel tempo e da tempo. Si profila un uragano. Si deve procedere allegri verso il naufragio? E se non si vuole procedere in allegria, come evitarlo? Per evitarlo è evidente che servirebbe un soggetto di cui tutti possano fidarsi, quello che con precisione linguistica gli anglosassoni definiscono un “honest broker”. È quello che è mancato in tanti “processi di pace”. Senza “honest broker”, cioè un mediatore onesto, credibile da tutti, “il processo” si arena, subentra la pressione, la sfiducia, gli estremisti sembrano avere ragione, sempre di più; addio “pace”.

Tra le vittime di questi processi di pace falliti ci sono sicuramente gli organismi internazionali, il sistema Onu: la sua autorevolezza è purtroppo finita, dai tempi di Sarajevo. Il sistema Onu non è più un soggetto, ma un oggetto. E allora?

Oggi la Chiesa cattolica sembra essere l’unico “honest broker” a disposizione del mondo. Certo, la familiarità culturale del Vaticano con l’Occidente, con l’Europa, con gli Stati Uniti, è evidente, antica, indiscutibile. Pechino probabilmente neanche capisce la religione di Roma – Francesco Sisci lo ha detto e scritto più volte: il “cristianesimo” sconosciuto, inaccessibile per i signori del Pcc. Ma dalla lettera di papa Ratzinger a oggi gli sconosciuti non potrebbero essere divenuti per Pechino “curiosi ma affidabili”, per l’insistenza con cui hanno perseguito un dialogo? Potrebbero essere percepiti oggi come un “fiducioso ponte verso un mondo che si sta allontanando da noi”? Potrebbe essere, no?

Certo però questo filo sembra oggi l’unico a non essere stato spezzato, e la decisione di varare proprio in queste ore un’edizione cinese de La Civiltà Cattolica, con tanto di imprimatur pubblico della Segreteria di Stato, potrebbe aver detto a Pechino che a Occidente non tutto è chiusura.

Certo, non c’è familiarità tra Vaticano e Cina: tutt’altro. Basta ricordare quanto ha detto anche recentemente il primo emissario vaticano in Cina, monsignor Celli, sul clima cupo, rigido, che segnò i suoi primi colloqui descritti come un qualcosa dove il sospetto, la sfiducia, potevano rappresentare i momenti di relax. Ma l’insistenza di papa Francesco sul suo amore per la Cina, per la cultura cinese, non saranno passati inosservati.

È un amore che si radica nel documento sulla fratellanza e l’importanza che una cultura come quella cinese non può che avere per chi ragioni in termini di fratellanza umana. Così tornano alla mente quei viaggi orientali, recenti, in Giappone e Thailandia, nei quali papa Francesco ha portato con sé proprio quel documento sulla fratellanza umana che oggi diviene un qualcosa di simile alle fondamenta di un edificio che non c’è, ma che se capito come anelito autentico potrebbe essere percepito come la prova di una disponibilità autentica a porsi come honest broker. Siamo cioè a qualcosa di non molto dissimile da quel che si verificò ai tempi della crisi cubana, quando Stati Uniti e Unione Sovietica furono a un passo dalla guerra vera, quella calda. Quando Giovanni XXIII fece recapitare la sua lettera a Nikita Kruscev e John F. Kennedy però doveva fermare una corsa, non avviare un processo. Avviare un processo di pace, un nuovo processo di pace dopo tanti fallimenti, è più complesso, perché non si tratta di non fare, ma di fare. Vedersi, parlarsi, incontrarsi, tornare a capirsi; è diverso.

Francesco ha costruito in questi anni la base culturale che entrambi, “Oriente” e “Occidente”, potrebbero capire come mutualmente fruttuosa davanti allo tsunami pandemia: capirsi sulla stessa barca, capirsi tutti bisognosi di un diverso rapporto con la natura, che non è un pozzo al quale attingere più voracemente dell’altro, ma la casa comune, da difendere insieme. Ma questa cultura se parla al cuore ragionevole di tutta l’umanità ha bisogno di diventare cultura, cioè movimento dal basso, capace di contrastare la paura dell’altro. È per questo che l’incontro europeo di queste ore ha un senso globale. Se questo senso comune di responsabilità, di fratellanza, riuscirà ad imporsi rispetto alla reciproca sfiducia, costruita su pregiudizi che come sempre sono infondati ma anche fondati (il sud cattolico e sciupone, il nord protestante e rigoroso) si riuscirà a dire che i propri interessi possono essere difesi senza tradire i propri principi.

Se i leader europei fossero consapevoli almeno di questo, quando i tamburi di una nuova guerra fredda già sono assordanti, farebbero un enorme servizio non solo all’Italia o alla Spagna o indirettamente dell’Olanda e dei suoi mercati di domani, ma a se stessi e al mondo. L’honest broker si può dire che esista, l’honest broker c’è: ma nessuno ha la bacchetta magica, e la forza della sfiducia deve essere sfidata da noi. Nessuno ha la bacchetta magica.

Vaticano, l’ultimo honest broker contro una nuova Guerra fredda. L'opinione di Cristiano

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