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L’offerta di residenza per gli studenti fuori sede copre in Italia appena l’8% del fabbisogno, con differenze molto pronunciate tra Nord e Sud. Lombardia, Toscana, Emilia-Romagna assorbono il 40% del totale della dotazione istituzionale, che ammonta a 50.000 posti letto. Questi valori descrivono una condizione del tutto precaria che, peraltro, non tiene minimamente in considerazione la potenziale domanda proveniente dall’obiettivo di favorire l’uscita dello studente dall’ambito familiare per avviarlo alla completa autonomia al termine del suo corso di studi. Risulta fin troppo chiaro che la residenza universitaria pubblica non è in grado di rispondere da sola a una domanda così pressante e, soprattutto, crescente.

Tuttavia non pochi investitori privati premono per intervenire in varie città, prevalentemente europee, anche attraverso capitali internazionali. Il loro interesse si rivolge, in gran parte, alle maggiori città (in Italia Roma e Milano) dove la “casa dello studente”, se affidata a una gestione accorta, può soddisfare anche le esigenze di lavoratori temporanei e turisti. Nei periodi di chiusura delle università spesso gli studentati rimangono infatti liberi, provocando un carico economico del tutto passivo.

L’insieme di questi fattori – domanda elevata, estensione dell’offerta non solo ai fuori sede, gestione razionalizzata che comprima i tempi morti, disponibilità di capitali internazionali – invita a guardare le nuove possibilità di intervento con grande concretezza, dando spazio e sviluppo a una ricerca che punti a tipologie innovative, capaci di rilanciare l’intero mercato immobiliare. Questo potrebbe assumere come obiettivi sia il recupero del patrimonio dismesso che la costruzione del nuovo.

La gestione accorta nel tempo delle disponibilità dovrebbe associarsi, come detto, alla scelta di trovare soluzioni edilizie flessibili, dove la condivisione dei servizi possa diventare una dotazione adeguata anche per una residenza a utenza differenziata. Una casa per studenti è compatibile con le esigenze di un’abitazione multifamiliare o di un alloggio per anziani. A ciò si aggiunga una spinta, ormai diffusa, al nomadismo sia lavorativo che residenziale. Alcune esperienze di all inclusive sono reali, così come la condizione ibrida che pone su piani intercambiabili lo student-housing e il co-housing.

L’Università italiana presenta serie difficoltà, legate soprattutto alla sconsiderata riduzione dei finanziamenti pubblici degli ultimi anni. Ciò ha portato nel tempo a una riduzione degli iscritti, accompagnata da una latente disaffezione verso l’istituzione accademica. Il contenimento degli immatricolati, che tuttavia registra una iniziale inversione di tendenza, dovrebbe spingere gli atenei a investire con maggiore impegno nei servizi complementari, come le residenze studentesche, l’offerta più efficace per conquistare “clienti” sia nazionali che internazionali.

Questa politica, che non si rivolge a interventi esclusivi per la struttura universitaria intesa in senso stretto, non trova facile consenso negli attuali organi accademici, tuttavia può essere sostenuta, come visto, dall’impegno dei privati, interessati a promuovere il rilancio del comparto immobiliare. A tal fine, risulta necessario giungere a una normativa urbanistica unificata sull’intero territorio nazionale, proprio per consentire la diffusione capillare degli interventi, senza che ingombranti burocrazie locali rallentino, se non addirittura spengano, il sorgere di nuovi insediamenti residenziali, concepiti non più solo come dormitori.

La condizione attuale sembra propizia e andrebbe assecondata sia per promuovere il riavvicinamento, anche emotivo, dei cittadini verso l’università sia per dare nuovo impulso allo sviluppo dei territori urbani, spesso in sofferenza.

Università e fuori sede. Perché servono più case dello studente

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