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Nel sermone molto atteso durante la preghiera del venerdì del 4 ottobre, il leader supremo iraniano Ali Khamenei ha tenuto un discorso che, nonostante i tentativi del regime di presentarlo come una dimostrazione di forza, ha rivelato la sua profonda ansia per il futuro della strategia regionale. Mentre i media di Stato hanno evidenziato la sua dura retorica contro Israele, sono state soprattutto le parole non pronunciate a far emergere un senso di isolamento.

Sentendosi sempre più solo, Khamenei ha lanciato un appello disperato al sostegno di altre nazioni. “La Ummah, la comunità islamica, ha sofferto molto a causa delle politiche delle potenze arroganti, ma oggi è un giorno di risveglio per i musulmani”, ha dichiarato, facendo riferimento a un nemico comune che, secondo lui, tutte le nazioni musulmane devono affrontare. Ha poi aggiunto: “Il nemico della nazione iraniana è lo stesso delle nazioni di Palestina, Libano, Egitto, Siria, Iraq, Yemen e altri Paesi islamici. Tutti gli ordini aggressivi e divisivi provengono da un unico centro di comando, sebbene differiscano nelle tattiche”.

Khamenei ha avvertito i Paesi vicini: “Ogni nazione che voglia evitare l’assedio paralizzante del nemico deve agire rapidamente. Se il nemico prende di mira una nazione, le altre devono correre in suo aiuto, o presto subiranno la stessa sorte”. Inoltre, ha elogiato Hassan Nasrallah, defunto leader di Hezbollah, e ha riconosciuto un attacco missilistico del Corpo delle Guardie Rivoluzionarie Islamiche su Israele, avvenuto il 1° ottobre. Sebbene l’attacco, denominato “La vera promessa 2” da Teheran, non abbia provocato danni significativi o vittime in Israele, l’unica vittima segnalata è stata un palestinese, Hassan al-Asli, colpito dai detriti di un missile.

Facendo riferimento all’attacco, Khamenei ha affermato: “Non esitiamo né ci precipitiamo nello svolgimento dei nostri doveri. Ciò che è logico e giusto sarà fatto in base alle decisioni dei nostri leader militari e politici, come è stato in passato e sarà in futuro”. Tuttavia, il discorso ha rivelato il suo crescente timore che la strategia di lungo corso, che ha sostenuto il regime per oltre tre decenni, stia vacillando. La soppressione del dissenso interno e l’esportazione del terrorismo all’estero, che finora avevano permesso al regime di mantenere il potere, stanno ora mostrando segni di cedimento.

Khamenei aveva sollevato aspettative, lasciando intendere che avrebbe affrontato le crisi di Gaza e del Libano. L’ultima volta che era apparso alle preghiere del venerdì risaliva a gennaio 2020, dopo il fallito attacco missilistico contro le forze statunitensi in Iraq in risposta all’uccisione del generale Qassem Soleimani.

Durante il sermone, Khamenei ha cercato di presentarsi come “leader dei musulmani di tutto il mondo”, ma ha evitato di parlare direttamente dell’Iran, rivolgendosi invece ai popoli del Libano e della Palestina. Nella seconda parte del discorso, pronunciata in arabo, ha esortato i suoi sostenitori a non perdere la speranza, rassicurandoli che i loro nemici alla fine falliranno.

Per l’occasione, il regime iraniano ha messo in scena una dimostrazione di forza, radunando folle per mostrare un’immagine di sostegno popolare. Tuttavia, ore prima del sermone, Teheran era praticamente sotto legge marziale, con un imponente schieramento di forze di sicurezza e la velocità di Internet rallentata per garantire il controllo delle comunicazioni. All’interno del Paese, l’atmosfera raccontava una storia diversa. Sarebbero stati dispiegati 38.000 addetti alla sicurezza per evitare disordini.

Per oltre trent’anni, il regime iraniano ha mantenuto il potere attraverso una combinazione di repressione interna e terrorismo esterno. Tuttavia, dopo una serie di rivolte popolari, boicottaggi elettorali e l’esposizione delle sue ambizioni nucleari, le reali capacità del regime sono ora sotto i riflettori. Isolato a livello internazionale e sempre più vulnerabile, il regime di Khamenei sembra sull’orlo di una crisi esistenziale.

Il vero pericolo, tuttavia, non viene dall’estero, ma dall’interno. Il malcontento tra gli iraniani, a lungo represso, rappresenta la minaccia più grande per la sopravvivenza del regime. È la crescente insoddisfazione domestica che potrebbe accelerare il collasso del sistema che Khamenei ha costruito.

La fragilità di Khamenei, tra retorica e crisi del regime. Scrive Ghzal Afshar

Di Ghazal Afshar

Mentre il regime iraniano intensifica la repressione interna e cerca sostegno tra le nazioni islamiche, la strategia di lunga data del leader supremo sembra essere in crisi. L’apparente potenza proiettata dal regime maschera una profonda instabilità interna, alimentata da proteste e malcontento popolare. Riceviamo e pubblichiamo un intervento di Ghzal Afshar, dell’Associazione dei giovani iraniani in Italia

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