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Una carta canadese per gli Stati Uniti. La corsa per le terre rare sta entrando nel vivo, con gli Usa decisi a non lasciare che la Cina, già oggi i possesso del 70% dei minerali critici sparsi nel mondo, non faccia il sold out. E il Canada può essere l’asso nella manica. Nei giorni in cui Washington e Ottawa tentano di nuovo la strada per l’intesa sui dazi, anche in seno al G7 che proprio alle pendici delle Rock Mountains canadesi è andato in scena in questi giorni, un think tank autorevole come il Center for strategic and international studies ha lanciato un amo alla Casa Bianca.

“I recenti controlli sulle esportazioni da parte della Cina (in risposta ai dazi americani, ndr), in particolare di materie provenienti dalle terre rare, hanno lasciato le aziende occidentali in difficoltà, con alcune che avrebbero preso in considerazione la possibilità di trasferire parti della produzione in Cina solo per avere accesso ai minerali. In effetti, la necessità di questi minerali è così urgente che sono stati al centro dell’attenzione nei recenti negoziati tra Stati Uniti e Cina a Londra, svoltisi nel tentativo di allentare la guerra commerciale tra i due Paesi.”

Ora, “gli Stati Uniti devono trovare fonti affidabili di minerali critici e il Canada potrebbe emergere come fornitore alternativo per integrare gli sforzi statunitensi volti a rilanciare la produzione nazionale di minerali. Tuttavia, ciò richiederà che entrambi i Paesi ammettano di aver ancora bisogno l’uno dell’altro, in mezzo alla tensione generata dai dazi del presidente Donald Trump e dalle discussioni sull’annessione del Canada”, spiega il Csis. Ricordando come “le terre rare e i magneti da esse prodotti sono essenziali per la produzione di automobili elettriche e convenzionali, semiconduttori, turbine, dispositivi medici e l’industria della difesa. Questi minerali hanno catturato l’attenzione del pubblico e del presidente Trump negli ultimi mesi, con la pubblicazione di un continuo tamburellare di notizie che annunciano la scoperta di nuovi giacimenti, finora poco sfruttati, per un valore di decine di miliardi di dollari”.

Certo, il Canada non è l’unico Paese di ricco di minerali critici. “Sia l’Ucraina, sia la Groenlandia, ad esempio, presumibilmente ospitano enormi quantità di questi elementi, ma nessuno dei due Paesi ha una produzione attuale. Il probabile motivo delle riflessioni del presidente degli Stati Uniti sull’annessione del Canada è l’accesso alle vaste risorse naturali del Paese, compresi i minerali essenziali. Il Canada è quindi un obiettivo primario per la strategia mineraria statunitense che mira a potenziare l’estrazione e la raffinazione nazionali, collaborando al contempo con gli alleati per indebolire il predominio della Cina. Da oltre 30 anni, il Canada fa parte della base industriale della difesa statunitense e, durante il primo mandato di Trump, i due Paesi hanno firmato un Piano d’azione congiunto per la collaborazione sui minerali critici. Ad oggi, gli Stati Uniti hanno investito oltre 70 milioni di dollari in progetti canadesi sui minerali critici nell’ambito del Defense Production Act (Dpa).”

Attenzione però alle bucce di banana. Come i dazi. “Le tensioni tra i due Paesi rischiano di indebolire questa collaborazione proprio nel momento in cui è più necessaria. La Cina ha fatto un favore agli Stati Uniti usando le terre rare come arma di guerra commerciale, ma gli Usa rischiano di sprecare questa opportunità alienandosi partner come il Canada, che potrebbero fungere da fornitori alternativi. Questo vale non solo per le terre rare, ma anche per acciaio, alluminio, uranio e potassio, di cui il Canada è il principale fornitore per l’industria e l’agricoltura statunitensi. Nonostante queste difficoltà, vi sono diversi ambiti in cui gli Stati Uniti e il Canada possono collaborare per rafforzare la sicurezza mineraria del Nord America nel suo complesso”.

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