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Il vertice a Bruxelles fra i ministri degli Esteri di Italia, Francia, Germania e Regno Unito assieme all’Alto rappresentante dell’Ue Josep Borrell sulla crisi in Libia si è concluso con un comunicato che chiede un cessate il fuoco immediato a Tripoli e condanna le “interferenze esterne”. In principio è tutto giusto, spiega a Formiche.net Federica Saini Fasanotti, nonresident senior fellow della Brookings Institution, purché l’Europa riconosca anche le sue interferenze, specialmente quelle francesi, che negli ultimi anni hanno contribuito alla frammentazione tribale e agli odi atavici che oggi attraversano il Paese.

L’Ue ha detto la sua sulla Libia.

L’Europa è debole e divisa, in questo momento ha poche carte in mano da giocare.

Dal comunicato congiunto sembra che l’Ue non voglia prendere parte fra Serraj e Haftar. Un regalo a Macron?

Macron non ha fatto una bella figura riguardo alla Libia. È evidente che non solo nei fatti, ma anche nelle parole crede poco nella Alleanza Atlantica e nel lavoro di squadra. Sono convinta che i suoi diplomatici agiscano in maniera diversa, ma purtroppo l’ultima parola è la sua.

Quali i passi falsi dell’Eliseo?

Ha indetto due conferenze internazionali sulla Libia cui hanno partecipato i “soliti noti” e che hanno portato solo confusione a livello diplomatico e ulteriori tensioni sul campo, sminuendo il lavoro di Unsimil e del suo inviato speciale Ghassan Salamé.

Macron è stato anche accusato di un atteggiamento ambiguo verso Haftar…

Lo ha tacitamente sostenuto, mentre pubblicamente si dichiarava a favore della missione delle Nazioni Unite. Haftar è un criminale e questo va detto. Nascondendosi dietro alla facciata del terrorismo islamico – quando lui stesso ne fa ampiamente uso tra le sue brigate – ha deciso di attaccare Tripoli e tutte quelle milizie che in realtà avevano aiutato lo stesso Gna e Serraj a smantellare Isis a Sirte, mentre lui stava a guardare.

L’Europa ha le sue colpe?

Ha cercato di essere corretta in questa situazione, lo stesso non si può dire di Russia, Emirati Arabi, Egitto e a questo punto anche Turchia. Quello che io definisco “processo naturale di selezione politica” non è avvenuto proprio per le ingerenze di tutti questi diversi giocatori.

Quindi ha ragione l’Ue quando dice che il problema sono “le interferenze” esterne?

Se il campo fosse stato lasciato ai libici, seppur con enormi difficoltà e molta sofferenza, una personalità di sostanza e accettata dalla popolazione sarebbe emersa. Qualcuno in grado di riempire l’enorme vuoto politico lasciato da Gheddafi.

Perché è andata diversamente?

Uno dopo l’altro i “soliti noti” stranieri – e anche qualche new entry – sono entrati in scena, devastando definitivamente quel poco che era rimasto. È estremamente difficile che dopo questo conflitto – comunque esso si risolva – si possa arrivare a una pace condivisa e soprattutto a una Libia unita. Rancori, odi atavici e sofferenze prolungate stanno sgretolando il paese.

L’Italia ha ancora un ruolo? Dovrebbe aspettarsi qualcosa dagli Stati Uniti?

Gli Stati uniti in questo momento hanno ben altro a cui pensare. Dimentichiamoci che Trump prenda qualunque iniziativa in Libia ora. Di Maio ha ereditato una situazione difficilissima, ha tante idee, ma a mio modesto parere nessuna strategia. A questo va a sommarsi il fatto che l’Italia non ha peso in politica estera. Ne ha sempre avuto poco, anche quando aveva politici di spessore. Figuriamoci ora.

Quanto pesa nel risiko libico l’incontro odierno fra Putin ed Erdogan?

Sarà certamente decisivo. Non è un caso che Haftar abbia accelerato i tempi, allargando la sua azione a tenaglia e occupando, o almeno provandoci, la città di Sirte. Vuole sicuramente trovarsi in una netta posizione di vantaggio nel momento in cui Turchia e Russia si siederanno al tavolo per contrattare. Non escludo che abbia avuto anche il benestare di Putin in questa operazione. Lo sapremo tra poco.

L'Ue, la Libia e il doppio gioco di Macron. Parla Saini Fasanotti (Brookings)

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