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Non sapremmo dire se il movimento d’opinione, per togliere a Istanbul e alla Turchia la finale di Champions League 2020, sia frutto del desiderio di tenere il calcio lontano dalla politica o più prosaicamente di puro senso di impotenza.

Confesso di essermi fatto venire più di un dubbio, nell’osservare le vuote minacce arrivate dall’Europa a un sultano tronfio e sordo, all’ombra di ben più potenti coperture. Mancando del cruciale potere militare, umiliati dalla sprezzante risposta turca all’embargo alla vendita di armi, meno male che almeno c’è rimasto il pallone…

Il punto è che nemmeno nel rettangolo verde, casa comune di una passione trascinante per noi come per i turchi, la cara vecchia Europa sembra poter fare molto di più che è un po’ di voce grossa. È stato il vice presidente dell’Uefa, l’italiano Michele Uva, del resto, a mettere in chiaro le cose: lo spostamento della finale da Istanbul ad altra sede sarebbe un “atto forte”. Bella scoperta, verrebbe da dire, considerato che proprio di un “atto forte” la pubblica opinione sembra avvertire il bisogno, davanti all’offensiva militare contro i curdi.

Siamo chiari: il mondo del calcio non ha precedenti splendenti da mettere in vetrina, da questo punto di vista. L’Uefa non riuscì a fermare le partite di Champions League neppure la sera dell’11 settembre 2001. Alla luce di ciò, appare ad oggi quantomeno ottimistico scommettere su un colpo d’ala del governo del pallone. A dirla proprio tutta, i vertici del calcio europeo da sempre hanno applicato una regola ferrea: usare abilmente la foglia di fico della distanza fra sport e politica, per non dover prendere decisioni scomode.

La lodevole battaglia al razzismo e all’intolleranza, infatti, nulla ha a che vedere con posizioni complesse e delicate, da prendere nei confronti di singoli Stati, governi o peggio regimi. Nella recente guerra russo-ucraina, del resto, tutto ciò che si è fatto è far giocare un paio di partite in campo neutro, non esattamente un “atto forte”, per citare Uva.

Effetto perverso di questa tradizionale timidezza, il lasciare campo libero a chi timido proprio non è: negli ultimi giorni, prima singoli giocatori turchi, poi l’intera nazionale di Ankara, capace di esibirsi in un peraltro abbastanza sgangherato saluto militare. In questo, i vertici del calcio hanno sicuramente ragione: non è mai un bello spettacolo vedere la politica prendere possesso di un campo di pallone. A volte, però, sarebbe proprio necessario saper rispondere.

#NoFinaleChampionsaIstanbul. La Turchia, l’Uefa timida e l’Europa fuori gioco secondo Giuliani

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