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Ventinove agosto. Da giovedì della prossima settimana gli Stati Uniti avranno la prima struttura militare interamente dedicata allo Spazio. Si tratta dello Space Command, il comando unificato con funzioni combatant che apre la strada alla Space Force voluta da Donald Trump.

L’ANNUNCIO

L’annuncio è arrivato dal generale Joe Dunford, alle sue ultime apparizioni da Chief of Staffs in attesa che da settembre venga sostituito da Mark Milley, già designato dal presidente e approvato dal Senato. Dunford ha annunciato l’attesa data nel corso dell’ultima riunione del National Space Council, l’organo che Trump ha voluto re-istituire per elevare a livello di vice presidenza (e dunque di Casa Bianca) il coordinamento della politica spaziale nazionale. In questo ambito si inserisce la militarizzazione dello Spazio extra-atmosferico, un trend ormai assodato a cui gli Stati Uniti hanno risposto con il progetto della Space Force.

I DETTAGLI

Prima di arrivare a una Forza spaziale però, il piano del Pentagono ha previsto la creazione (decisamente più semplice rispetto al sesto braccio armato) dell’undicesimo comando unificato: SpaceCom. Da alcuni mesi sono stati identificati i vertici, il comandante Jay Raymond e il suo vice James Dickinson. Era stato lo stesso Raymond ha identificare le necessità in termini di personale: 642 unità direttamente dallo US Strategic Command. Eppure, lo SpaceCom partirà con molto meno, 87 persone che inizieranno a lavorare su “allerta missilistica, operazioni satellitari, controllo e supporto spaziale”, ha chiarito Dunford. D’altronde, era stato lo stesso Raymond a spiegare a giugno al Congresso che l’istituzione del comando non sarebbe stata facile. “La mia priorità – aveva spiegato – è assicurare una transizione senza soluzione di continuità della catena di comando e controllo della capacità spaziali critiche da cui ogni giorno dipendono la nazione e le Forze armate”. Poi, aggiungeva il generale, “abbiamo bisogno di assicurarci di intraprendere i passi per rafforzare la prontezza e la letalità mentre completiamo il passaggio da un ambiente permissivo a una postura di combattimento”.

IL TREND

Questo perché l’obiettivo dello Space Command non è solo difensivo. Segue d’altra parte il trend assodato a livello globale, con tutte le grandi potenze impegnate da tempo a potenziare gli assetti militari extra-atmosferici, dalle capacità di attacco ai satelliti (Asat), a nuovi vettori spaziali, fino a capacità avanzate di monitoraggio. L’ultima in ordine di tempo a dimostrarlo è stata la Francia, con la presentazione a fine luglio della “Strategia spaziale di Difesa” da parte del ministro Florence Parly, forte del sostegno del presidente Emmanuel Macron che, un paio di settimane prima, aveva lanciato il nuovissimo Commandement militaire de l’espace, operativo dal prossimo settembre a Tolosa con uno staff iniziale di 220 persone, all’interno dell’Aeronautica militare pronta a trasformarsi in Armée de l’Air et de l’espace. È solo un tassello di una strategia ben più corposa, che poggia sul concetto di “difesa attiva” (alias, offesa) e che conterà su 4,3 miliardi di euro fino al 2025. L’obiettivo, spiegava a chiare lettere la Parly, è “essere pronti a reagire” visto che “i nostri alleati e gli avversari stanno militarizzando lo Spazio”.

LA COMPETIZIONE SPAZIALE

Pur senza novità di organigramma militare, sulla stessa linea stanno difatti procedendo anche gli altri big. A marzo, l’India si è aggiunta al novero delle poche potenze (Usa, Russia e Cina) che hanno dimostrato di possedere capacità anti-satellite (Asat), colpendo con un nuovo missile balistico un satellite in orbita. Particolarmente attiva risulta Pechino, con un programma spaziale completo e ambizioso che va avanti spedito su tutti i fronti, dall’esplorazione (tra stazione spaziale e corsa alla Luna) ai lanciatori (compreso un vettore che punta a essere riutilizzabile). Mosca mantiene tutte le sue storiche ambizioni, potendo contare su decenni di sperimentazioni in tutti i segmenti.

LA RISPOSTA USA

E proprio per non perdere terreno rispetto a russi e cinesi, Trump si è fatto promotore assoluto della Space Force, riuscendo nel giro di un paio d’anni a superare le reticenze di diversi vertici militari. Anche il Pentagono (con James Mattis prima e Patrick Shanahan dopo) si è dovuto allineare alle direttive del presidente, lanciando un piano che è poi stato ufficializzato a ottobre dello scorso anno nella quarta riunione del National Space Council: creazione di una Space Development Agency per la gestione del procurement, istituzione dello SpaceCom e, poi, della Space Force entro il 2020, ragion per cui già nell’autorizzazione per il 2019 vi sono state destinate risorse. In realtà, per lo SpaceCom si tratta di un ritorno. Già attivo dal 1985 al 2002 (quando confluì nell’UsStratCom) dal prossimo 29 agosto tornerà a essere l’undicesimo comando unificato e combatant degli Stati Uniti, da aggiungere agli attuali dieci, ognuno con competenza geografica.

COMPETENZE

Per quanto riguarda le possibili sovrapposizioni tra le nuove strutture, era già stato l’anno scorso l’allora segretario alla Difesa Shanahan a identificare la divisione di competenze: non sono da confondere, sono complementari. “La Space Force – notava quando ancora si discuteva se inserirla nell’Air Force, come poi è stato deciso – servirà a fornire personali, assetti e capacità a supporto delle operazioni spaziali, mentre lo Space Command sarà il comando operativo che impiegherà le capacità spaziali e guiderà le operazioni”. Una volta che entrambi saranno a lavoro, “funzioneranno in parallelo a quanto avviene per le altre cinque Forze armate e i quattro comandi combatant funzionali”.

Guerre stellari. Si fa sul serio. Lo SpaceCom di Trump è pronto al decollo

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