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Ha avuto rilievo – forse inferiore all’attesa di chi i primi ottobre aveva iniziato – la notizia delle 65 firme di senatori, il minimo richiesto per promuovere il referendum ex art.138 della Costituzione al fine di non promulgare la legge sul taglio dei parlamentari fino a 400 deputati e 200 senatori.

Un rilievo ridotto probabilmente a causa della non chiara ragione politica della raccolta, stando alle dichiarazioni. I Radicali e la Fondazione Einaudi hanno sostenuto la raccolta definendo il taglio un vulnus alla democrazia parlamentare. I tre firmatari del M5S (Giarrusso, Di Marzio e Maricotti) che a luglio hanno votato a favore del taglio, sostengono che le loro firme rendono possibile il pieno successo tra i cittadini della riduzione dei parlamentari voluta dal M5S. E un altro firmatario, il senatore Nannicini (Pd), ha annunciato l’arrivo a quota 65 con una complessa dichiarazione in cui afferma che la raccolta dà il tempo per approvare altre modifiche costituzionali, concordate nella maggioranza del Conte 2, così completando la modifica avviata con il taglio (che è la tesi con cui il Pd ha motivato il suo sì nella quarta votazione alla Camera, dopo aver votato contro le tre volte precedenti).

A ciò si aggiunga che mancano ancora circa 4 settimane alla scadenza del termine per la richiesta di cui all’art. 138 e che, a quanto pare, le 65 firme sono per ora in cassaforte al Senato. Dunque sono sempre possibili novità, sia sopra che sotto la soglia minima, dal momento che delle 65 firme, oltre le 3 del M5S, 41 sono di FI (al quarto voto pro taglio), 7 del Pd (idem FI), 2 della Lega (i senatori Grassi e Urraro usciti dal M5S a metà dicembre, mentre Lega e FdI sempre per il sì al taglio), 2 di IV (Garavini e Nencini origine Pd), 10 del Misto (di varia origine). Quindi non è certo quante saranno le firme date in Cassazione. Pertanto il tema non è ben definito e non si impone un dibattito immediato.

Però, per non sembrare elusivi sul taglio, si fa cenno a quale è ad oggi la linea dei liberali. Siamo contro la tesi che solo i cittadini possano ridurre i parlamentari. Una simile tesi corrisponde all’illiberale svilire la democrazia rappresentativa (una legge approvata dal Parlamento non basterebbe e per promulgarla ci vorrebbe una conferma referendaria). Ciò corrode il parlamentarismo, dato che un referendum ex art.138 è legittimo solo per chi non condivide la legge votata e cerca di non farla promulgare. Altrimenti, sono manovre dilatorie e costose, estranee al metodo liberale (specie per chi l’ha votata). Infatti per Berlusconi in tv il Parlamento oggi non esprime la volontà dei cittadini (nonostante duri 5 anni).

Quanto al taglio in sé, non è una mutilazione della democrazia. Non lo è per il presunto formarsi delle élite, perché le élite nulla hanno a che fare con il numero degli eletti bensì con lo staccarsi dagli elettori. E non lo è per il presunto aiuto all’antipolitica, siccome il taglio non scalfisce il senso e il funzionamento della democrazia parlamentare. Semmai il taglio è un colpo ai privilegi di chi segue poco il lavoro in aula e alle abitudini di certi piccoli partiti per insinuarsi nei resti elettorali e rimediare qualche seggio. Del resto, perfino dopo il taglio, il numero di eletti rispetto agli elettori è ancora più alto di quello esistente nei paesi del mondo.

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