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I leader politico-militari di Misurata ieri sono andati in conferenza stampa e hanno annunciato l’aumento dell’intensità dei combattimenti in Libia. Misurata è la città-stato poco più di duecento chilometri a est di Tripoli che protegge politicamente e militarmente il governo di accordo nazionale libico, Gna, dall’aggressione di Khalifa Haftar, signore della guerra della Cirenaica che dal 4 aprile ha annunciato la rapida conquista della capitale (e dunque del paese).

Le televisioni locali chiedono la “mobilitazione” contro “l’aggressore”, e non senza propaganda viene fatto sapere da una fonte locale che d’ora in poi scenderanno in campo “tutte” le milizie misuratine. “Finora ne combatteva solo il venti per cento”: sono dati effettivamente complessi da verificare, ma va constato che l’aliquota finora impegnata in battaglia è stata più che sufficiente a fermare la campagna di conquista della Tripolitania condotta dal Libyan National Army, Lna — nome ambizioso con cui Haftar spinge la narrativa attorno alla sua milizia (serve a confondere i meno attenti e farlo passare per un esercito regolare).

Ieri, dietro alle porte sbarrate del Palazzo Dolmabahce di Istanbul, c’è stato un nuovo incontro tra Fayez Serraj, premier del Gna e capo del Consiglio presidenziale (due organi creati sotto egida Onu e internazionalmente riconosciuti), e Recep Tayyp Erdogan. I turchi in Libia stanno giocando la loro partita di influenza e spartizione, usando come sponda proprio le ottime relazioni con Misurata — a cui inviano aiuti militari sfruttando la triangolazione con aerei da trasporto affittati per mascherare la violazione dell’embargo Onu sugli armamenti.

Non è da escludere che la chiamata alle armi di Misurata — che passa come una contro-insurrezione patriottica per fermare in anticipo le ambizioni del wannabe-rais dell’Est, argomenti su cui i misuratini sono piuttosto sensibili (guidarono già la rivoluzione contro a Gheddafi) — sia frutto anche dell’incontro Serraj-Erdogan. L’ultimo di una serie di bilaterali Ankara-Tripoli, che si è intensificato di recente. Sabato, Serraj aveva avuto un faccia a faccia con i ministri degli Esteri e della Difesa turchi a latere del Doha Forum (conferenza di carattere diplomatico in Qatar, altro sostenitore diretto di Misurata, e rivale di Emirati ed Egitto, esposti su Haftar). Prima ancora il premier libico si era già incontrato con Erdogan: era il 27 novembre e da quel meeting nacque la doppia intesa turco-libica (ratificata la scorsa settimana dal parlamento turco).

Un protocollo sull’aiuto militare, con Erdogan che in televisione s’era detto pronto a inviare supporto diretto — leggasi truppe — se Tripoli ne avesse sentito il bisogno. Uno step up evidente, pubblico e ufficiale, rispetto al coinvolgimento attuale — che si limita all’appoggio aereo tramite droni e l’invio di cargo non targati che trasportano strumentazione militare, sebbene val la pena ricordare che unità speciali turche siano già presenti sul terreno, ma in via informale e tutt’altro che pubblicizzata. Il secondo protocollo d’intesa che Erdogan aveva strappato a Serraj riguarda l’unione delle due zone economiche esclusive, che ha creato una fascia marittima di influenza e proiezione libica della Turchia contro cui si sono opposte Cipro, Grecia ed Egitto, ma anche Israele, Giordania e Italia.

La mobilitazione chiesta da Misurata è però anche effetto di questioni intra-libiche (che molto spesso vengono dimenticate a causa del peso che sulla crisi ha la presenza di attori esterni e relativi interessi, ma in realtà sono un elemento primario: per esempio, Serraj ancora barcolla in uno status onusiano transitorio perché il suo governo non ha ottenuto la fiducia politica e il completo consenso tra i cittadini). La risposta da Misurata arriva infatti a meno di una settima dall’ennesima “ora zero” dichiarata da Haftar. I due fronti si detestano e nessuno vuole restare fermo mentre l’altro avanza, anche solo sulle parole.

Comunque, se la Tripolitania può contare su un sostegno più attivo dei turchi, adesso l’uomo forte della Cirenaica ha dalla sua un supporto pratico fornito dalla Russia attraverso contractor militari privati di una società molto vicina al Cremlino. Si sa che i mercenari russi sono presenti in Libia da almeno tre anni, ma attualmente avrebbero preso una ruolo più attivo. Tant’è che gli Stati Uniti, piuttosto indispettiti, ne hanno ufficialmente denunciato la presenza. Mosca considera la Libia parte strumentale al perseguimento dei propri interessi sul Mediterraneo allargato.

L’escalation, che si teme da alcune settimane per via dell’aumento dell’intensità dell’appoggio straniero ai due lati del fronte e alla ricaduta che quadro può avere sui libici in guerra, è però finora ferma alla retorica — e dunque alla narrazione e propaganda. Sul campo non ci sono ancora sviluppi sostanziali (almeno al momento della stesura di questo articolo, ndr). Il fronte è bloccato. A dispetto della rapida capacità di rigenerare i propri mezzi armati di entrambe le parti in guerra, i combattimenti procedono per inerzia.

Sul piano politico diplomatico invece i contatti fervono. Nei prossimi giorni, probabilmente domani, il ministro degli Esteri italiano, Luigi di Maio, dovrebbe essere a Tripoli per recuperare parte della marginalizzazione ultimamente subita dall’Italia sul dossier, mentre l’altro ieri a Bengasi sono stati fotografati due aerei militari da trasporto, uno italiano e uno americano. A latere del forum in Qatar, Serraj ha anche incontrato Lindsey Graham, un senatore americano neocon che è considerato un consigliere informale dello Studio Ovale sui temi di politica estera.

Da qualche mese, la Libia viene affrontata in modo più assertivo dagli Usa. E Tripoli sta anche sfruttando la presenza russa dietro Haftar per sbilanciare a proprio favore la posizione americana. Ma il peso maggiore acquisito dalla Turchia è un elemento delicato. C’è stato un riallineamento di livello presidenziale tra Washington e Ankara, ma  negli Stati Uniti il dossier turco non viene gestito con favore da altri apparati, come il Congresso: la situazione con i curdi in Siria e l’acquisto dei sistemi anti-aerei S-400 russi sono punti di distanza sottolineati da Capitol Hill (venerdì scorso la Commissione Forze armate del Congresso ha addirittura proposto sanzioni contro i turchi su questi due temi).

A breve Erdogan avrà una telefonata con Vladimir Putin per parlare di Libia, conversazione che potrebbe riproporre uno schema già visto in Siria.

Libia, cosa c'è dietro la chiamata alle armi di misurata contro Haftar

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