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Il Pentagono ha reso noto ieri che la scorsa settimana il cacciatorpediniere “USS Forrest Sherman”, mentre pattugliava il Mar Arabico settentrionale, ha fermato per un’ispezione un peschereccio. Quando i Marines a bordo sono sbarcati su quella che sembrava un’imbarcazione civile hanno scoperto che era carica di componenti per missili. Erano diretti in Yemen, e secondo il Pentagono la nave stava trasportando armamenti per sostenere i combattenti Houthi, i ribelli che hanno rovesciato il governo di Sanaa quattro anni fa e contro cui l’Arabia Saudita è impegnata in un’operazione militare complicata e ancora senza risultati.

A settembre i miliziani yemeniti hanno dato prova delle proprie capacità organizzative e hanno lanciato un attacco monstre contro due impianti petroliferi sauditi. I danni sono stati devastanti, tanto che hanno scombussolato il prezzo del petrolio perché quei due centri di produzione e raffinazione sono dovuti restare fermi per settimane riducendo di una metà l’output petrolifero di Riad (il più grande dei produttori al mondo).

Secondo svariate ricostruzioni, a fornire la componentistica tecnica e tecnologica agli Houthi sono i Pasdaran. Quella della scorsa settimana è stata però la prima volta che gli americani hanno trovato i Guardiani della Rivoluzione con le mani nella marmellata. Uno dei comandanti dell’operazione ha detto all’Associated Press che già dalle prime indagini risulta chiaro che quella componentistica è di origine iraniana.

Il confitto in Yemen, il collegamento con i ribelli e lo scontro con il regno saudita, sono elementi del piano ambizioso con cui la componente più reazionaria del sistema-Iran sta cercando di diffondersi all’interno del Medio Oriente. Un progetto che passa dal sostegno al regime siriano per guadagnare posizioni di forza in un Paese centrale nella regione, agli aiuti militari in Yemen, o dal sostentamento continuo di entità affiliate che penetrano i sistemi socio-politico-economici di altri Paesi. Su tutti il Libano e l’Iraq.

Oggi il New York Times pubblica un articolo informato in cui funzionari di intelligence e militari americani raccontano come l’Iran abbia sfruttato il contesto caotico in Iraq – governi deboli, la lotta contro lo Stato islamico – per rifornire le milizie collegate di missili balistici a corto raggio. Armi che i Pasdaran potrebbero usare da un Paese centrale del Medio Oriente per colpire nemici come i regni del Golfo e Israele, e anche per minacciare la presenza occidentale in Iraq. Uno Stato che è diventato una piattaforma politica armata dell’Iran.

Da giorni a Baghdad e in altre importanti città irachene migliaia di cittadini protestano contro le penetrazioni che Teheran ha spinto nel Paese: cantano “fuori l’Iran dall’Iraq!”, hanno dato fuoco ai ritratti della Guida suprema, Ali Khamenei, e del generale Qassem Soulimani, capo delle Quds Force, unità d’élite dei Pasdaran che gestisce la propagazione di influenza tramite le milizie.

Nelle scorse settimane Soulimani è stato più volte in Iraq per riunioni su come rispondere, in modo repressivo, alle proteste. Qualcosa del genere è stato fatto negli stessi giorni in Iran, dove i cittadini si lamentano anche delle spese affrontate dallo Stato per sostenere le ambizioni da potenza regionale davanti a un’economia interna in fase critica.

“Teheran è impegnata in una guerra ombra, colpisce i Paesi del Medio Oriente, ma maschera sottilmente l’origine di quegli attacchi per ridurre la possibilità di provocare una risposta o intensificare la lotta”, hanno spiegato i funzionari al Nyt. Attacchi come quelli al petrolio saudita hanno lo zampino dei Pasdaran, ma formalmente l’Iran è in posizione terza; tant’è che gli Houthi hanno rivendicato subito l’azione (col doppio tornaconto: seguire l’indicazione di Teheran e allo stesso tempo intestarsi un’operazione grossa e complessa che aiuta col proselitismo).

Per la Repubblica islamica tenere arsenali al di fuori del confine, in Iraq come in Yemen o Libano, è un vantaggio per portare avanti queste operazioni a plausible deniability. Sebbene siano noti i collegamenti di certe milizie con l’Iran, come per esempio la libanese Hezbollah, se l’azione viene condotta da queste organizzazioni Teheran ne resta fuori, non è coinvolta direttamente.

Da mesi i funzionari americani stanno lavorando con il governo iracheno per contenere queste dinamiche iraniane. A maggio, il segretario di Stato, Mike Pompeo, aveva fatto saltare all’ultimo momento una riunione con la Cancelliera tedesca per recarsi a Baghdad e incontrare il premier dimissionario Adel Abdul Mahdi. Le ragioni del faccia a faccia d’urgenza era stata la scoperta, da parte dell’intelligence Usa, di una spedizione marittima di missili che gli iraniani avevano inviato a una milizia irachena. Da lì in poi, nel Golfo si sono susseguiti una serie di incidenti (leggasi attacchi) contro le petroliere, che secondo gli americani sono stati opera dell’Iran attraverso le milizie collegate.

Il territorio iracheno è rotta di passaggi di armamenti di vario genere, e le milizie connesse con i Pasdaran hanno aperto le vie per far passare le armi che dall’Iran arrivano anche in Siria. Molte finiscono in mano a Hezbollah, che poi ha l’ordine di usarle contro Israele. Da anni, almeno dal 2013, Gerusalemme colpisce con costanza questi scambi di armi, e da qualche tempo ha iniziato a bersagliare anche il nord dell’Iraq.

Negli ultimi tempi gli Stati Uniti hanno aumentato il loro contingente in Medio Oriente – portato a 14mila unità totali, col rafforzamento di una base in Arabia Saudita e ulteriori implementazioni in vista. Lo scopo di questo contingente è creare un sistema di controllo e deterrenza anti-Iran.

Dall'Iraq allo Yemen. Così i Pasdaran sfruttano il caos in Medio Oriente

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