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Per il giovane ministro degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale Luigi Di Maio, le sofferenze e le ambasce non finiscono mai. La visita di Beppe Grillo a Roma, e le pacche sulle spalle di prammatica, hanno avuto un effetto di breve durata: già da un paio di giorni, in Transatlantico suoi, per così dire, “militanti” ammettono di essere in disaccordo con le altre forze politiche di governo su tutto o quasi tutto. I dolori interni, però, si placano al pensiero che gran parte dei parlamentari M5S sono stati reclutati tra coloro alla ricerca di “un posto” e temono le elezioni come la peste nera. Tranne coloro che prendono spunto dalle polemiche sul Mes (Meccanismo europeo di stabilità) per gettare occhiate alla Lega, che, secondo i sondaggi, si è già presa parte del loro elettorato, all’insegna del motto “protestare per protestare, meglio farlo con chi è più forte”. Guai veri anche e soprattutto sul fronte di quelle relazioni internazionali che dovrebbero essere il suo lavoro esclusivo.

Ieri 27 novembre, a Washington, il presidente Donald Trump ha firmato due provvedimenti che non sono certo di gusto del giovane Di Maio. Il primo obbliga gli Stati Uniti a riconsiderare “ogni anno” il trattamento commerciale speciale tra gli Usa ed Hong Kong e prevede sanzioni in caso di “violazioni ai diritti umani”. Il secondo blocca la licenze commerciali all’esportazione di armi, munizioni di gomma, manette ed anche gas lacrimogeni alla polizia di Hong Kong. Il ministero degli Esteri di Pechino ha stigmatizzato queste misure. Quasi tutti gli altri Stati europei, invece, le hanno elogiate e ne stanno prendendo di simili. La Farnesina e il suo titolare, invece, hanno preferito il silenzio.

Sino a quando potrà durare? Oggi alle 13.30 nella sala di Palazzo Madama intitolata ai caduti di Nassirya si è svolto un seminario con collegamento diretto con i leader della rivolta di Hong Kong in favore della democrazia. Altre se ne stanno organizzando in tutta Italia. Di Maio sa che queste manifestazioni contano in sede elettorale. Alla Farnesina, gli è stato anche detto che gli americani hanno la memoria lunga: a fronte di quello che considerano uno sgarbo, aspettano il momento opportuno per presentare il conto. Un conto che può essere salato. È anche noto che l’attuale presidente del Consiglio Giuseppe Conte se è forzato a scegliere tra la Casa Bianca e Di Maio non ha esitazione sul da farsi.

In aggiunta, gli Xinjiang papers cominciano ad uscire dal web. Il 26 Novembre, il New York Times ne ha pubblicato larghi estratti (specialmente sulle torture psicologiche inflitte a chi finisce nei “centri di formazione”). La loro autenticità è convalidata da 75 esperti di 14 Paesi. Pechino non li smentisce ma ribadisce che “si tratta di carte trafugate da nemici del popolo”. Tra gli estratti pubblicati ce ne sono di nuovi, segno, da un lato, che le “fughe di notizie” continuano e dall’altro che Pechino è ormai un gigante zoppo. Nuove ambasce per il giovane Luigi.

Italia-Cina, vi spiego perché il conto sarà salato. Il commento di Pennisi

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