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Come ogni 7 del mese, dal 7 ottobre — quando con il mostruoso attentato contro Israele, Hamas ha dato il via all’attuale stagione di guerra — Formiche.net fa il punto della situazione nella regione mediorientale con Giuseppe Dentice, responsabile del Desk Medio Oriente e Nord Africa del CeSI. Conversazione che arriva mentre il fronte si allarga al nord di Israele, verso il Libano, che sta diventando “l’epicentro della situazione”.

“Questo significa — continua Dentice — che sta in parte cambiando lo spazio geografico-politico-militare del confronto, e soprattutto la ratio del conflitto e delle sue ragioni, perché se prima era una guerra contro Hamas in reazione all’attacco del 7 ottobre, ora, con il coinvolgimento di Hezbollah e gli attacchi in Libano, sta la matrice anti-iraniana del conflitto”.

Con il Libano che diventa un territorio indiretto del confronto tra Teheran e Gerusalemme, con Hezbollah al centro, Hamas e Gaza perdono importanza? “Tutt’altro, perché Hamas e Gaza hanno un ruolo strategicamente rilevante, in quanto l’interesse del gruppo armato palestinese è allargare il conflitto per distrarre forze israeliane dal fronte di Gaza, pur mantenendole impegnate, coinvolgendole così in un doppio fronte. E la speranza ulteriore è che si possa attivare anche la Cisgiordania, che resta sempre in uno stato di alta tensione, a cui contribuiscono anche le politiche del governo Netanyahu”.

La riunione, nei giorni scorsi a Beirut, tra funzionari di Hamas e di Hezbollah racconta nei fatti questa potenziale convergenza. Le azioni dei coloni contro i palestinesi, giustificate dalle nuove leggi sugli insediamenti, e gli scontri conseguenti, un altro elemento. “È chiaro che se il fronte con il Libano si attiva con profondità, il triangolo settentrionale della Cisgiordania, quello che ha al centro Jenin, rischia di diventare un’area molto complessa da dover gestire”, aggiunge Dentice.

Portare avanti la guerra, anche con i rischi dell’allargamento, serve a Benjamin Netanyahu per mantenere in piedi il governo e dunque il suo potere? “È possibile — risponde Dentice — che il primo ministro israeliano pensi a un termine futuro preciso: novembre, quando Usa2024 potrebbe chiudersi con la vittoria di Donald Trump. Ma è una scommessa, perché la vittoria di Trump non significa l’appoggio totale e incondizionato americano a Israele”. Perché? “Il repubblicano potrebbe avere interesse a riattivare il regime di massima pressione contro l’Iran, ma non a spendersi in un conflitto al fianco di Israele contro la Repubblica islamica: e l’esempio è il 2019, quando gli Usa di Trump non diedero alcun appoggio quando furono colpite le istallazioni petrolifere saudite nella provincia orientale”, finite sotto una salva di missili e droni lanciati dagli Houthi (e alcuni anche dall’Iran).

Secondo Dentice, la partita è ampia e ancora molto aperta, e “tregua a Gaza o meno”, sembra difficile vedere un miglioramento generale. Nel prossimo futuro, per l’esperto del CeSI, ci sono due passaggi fondamentali da osservare: le elezioni in Iran e la visita di Netanyahu a Washington a fine luglio. “Non dimentichiamoci che la creazione di questo contesto incide anche sulle altre fratture presenti in Medio Oriente, dallo Yemen alla Siria, per non parlare di Iraq, Giordania ed Egitto: ambienti sensibili per ragioni diverse che potrebbero essere condizionati da ciò che accade al confine israelo-libanese”.

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