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Fermo restando che il cardinale Camillo Ruini, 88 anni portati con disinvoltura intellettuale, non ha alcun bisogno di difensori d’ufficio, sta di fatto che ogni volta che affida i suoi pensieri al Corriere della Sera, lascia il segno e affonda la sua lama nelle contraddizioni del cattolicesimo politico italiano.

L’intervista rilasciata ad Aldo Cazzullo è la sintesi della lucidità politica del cardinale e del suo coraggio ecclesiale. Ancora una volta, infatti, Ruini mette in campo il suo sano realismo politico e chiede di dialogare con Matteo Salvini che ha “notevoli prospettive davanti a sé, e che però ha bisogno di maturare sotto vari aspetti”. Così come non si nasconde dietro un dito su questioni delicatissime per la Chiesa e spera che il Papa non dia il via libera all’ordinazione sacerdotale dei diaconi sposati. Ovviamente motivando questa sua posizione.

Dunque, Salvini, è riconosciuto come un interlocutore politico e con lui “il dialogo – sostiene il cardinale – mi sembra doveroso”. Ovviamente senza minimizzare né la questione dei migranti (“vale per Salvini, come per ciascuno di noi, la parola del Vangelo sull’amore del prossimo”, né quella del bacio del rosario che il cardinale spiega come “una reazione al politicamente corretto, e una maniera pur poco felice, di affermare il ruolo della fede nello spazio pubblico”.

Chi ha memoria ricorda che nei primi Anni Novanta fu proprio il quotidiano Avvenire, ispirato dalla Cei allora guidata da Ruini, a tentare di decifrare il fenomeno leghista che stava prendendo piede soprattutto nel Nord Est del Paese. Fu il quotidiano cattolico a mandare inviati soprattutto in Veneto per capire quanto stava avvenendo e perché in una regione bianca si stessero affermando parole d’ordine nuove che sembravano in contraddizione con la tradizione moderata e cattolica di quelle popolazioni. Avvenire sdoganò la Lega non trattandola come un esercito di barbari. Infatti i barbari scesero a Roma e non fecero i danni che tutta l’intellighenzia italiana, profondamente di sinistra, paventava. Altrettanto accadde con “l’impresentabile” Berlusconi, il cui successo sancito dalle urne non fu avversato, ma accettato come semplice e naturale espressione democratica e popolare.

Non stupisce dunque, che Ruini si dimostri coerente con le sue scelte di ieri. Il suo realismo politico va distinto dal cinismo. Solo qualche pensatore malevolo può attribuirlo al cardinale che, in realtà, ha sempre più fiducia di tutti nel voto popolare. A lui non verrebbe mai di affermare che “il popolo vota male”. Sia quando ieri votava Berlusconi, Bossi o Prodi, sia oggi se sceglie in maggioranza Salvini e domani chissà chi. Restando così un liberale vero, coerente con la democrazia, che non vede barbari dappertutto, ma semplicemente leader e forze politiche in grado di interpretare lo spirito del tempo.

È questo realismo, congiunto con una fiducia sulla capacità di resilienza del popolo italiano che fa di Ruini un pensatore politico liberale. Non è un caso, infatti, che abbia sempre avuto come punto di riferimento Alexis de Toqueville e la sua “Democrazia in America”. Perciò non stupisce se oggi lui non veda margini per un partito dei cattolici: “Non è questo il tempo. Mancano i presupposti”. Su questo punto è da rilevare la perfetta sintonia con il cardinale Gualtiero Bassetti, attuale presidente della Cei, che da tempo esclude la nascita di un “partitino cattolico”. Ma soprattutto riafferma la sua linea: “I cattolici possono però operare all’interno di quelle forze che si dimostrino permeabili alle loro istanze”. Senza però porre pregiudiziali e sbarramenti interessati. Quelli, per intenderci, frapposti da tanti esponenti del cattolicesimo democratico italiano che hanno sempre delegittimato chiunque dialogasse con il centrodestra italiano. Da qui gli attacchi costanti rivolti al cardinale Ruini, anche in queste ore, perché non esclude il dialogo a destra, mentre quello a sinistra sarebbe sempre legittimo e auspicabile. Una “conventio ad excludendum” che il cardinale non ha mai accettato. Ma che, a ben guardare, spiega in qualche modo la debolezza del cattolicesimo politico di sinistra e persino la profonda crisi della sinistra italiana.

È quel complesso di superiorità intellettuale, al limite della la discriminazione, che ha impedito a questo Paese una pacata alternanza politica. Ma soprattutto lo ha allontanato dai ceti popolari che hanno vissuto con fastidio questa supponenza che, unita al malgoverno, come è avvenuto in tante aree del Paese, ha portato alle sconfitte rovinose della sinistra. L’Umbria, a tal proposito, è solo l’ultimo di questi rovesci.

Ora. Lungi dal voler dare lezioni alla sinistra che dovrebbe comunque riflettere a fondo sui guasti del “politicamente corretto”, sta di fatto che il cattolicesimo democratico ha finito per assumere gli stessi vizi intellettuali e comportamentali della sinistra tutta. Così da non interpretare più il sentimento popolare e da ritenere, come tutta l’area in cui ha militato, che il popolo sbagli quando vota la destra o il centrodestra. Una sgrammaticatura politica che in pochi hanno capito, ma gravissima da parte dei cattolici di sinistra che più di altri avrebbero dovuto leggere i segni dei tempi e percepire il sentimento popolare.

Ecco perché oggi, continuando a sbagliare, attaccano Ruini per tamponare ogni possibilità di dialogo di Salvini con la Chiesa e il mondo cattolico. Un errore fatale. Piuttosto, suggeriamo a tutti loro, come allo stesso Salvini, di interrogarsi su che cosa voglia dire quel “però deve maturare” riservato da Ruini al leghista. Noi abbiamo un sospetto: forse è l’auspicio che Salvini, da leader sovranista e populista, abbia il coraggio e la lungimiranza di farsi leader moderato e popolare. In grado, cioè, di rappresentare gli interessi di tutti gli italiani. Forse a Salvini converrebbe non sciupare questa inaspettata apertura di credito.

Ruini, Salvini e i tabù cattolici. Il commento di Domenico Delle Foglie

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