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L’Occidente, in particolare l’Europa, costituiva fino a un paio di decenni fa il modello a cui si ispiravano, almeno nella maggior parte del mondo, le classi dirigenti degli altri Paesi. Erano desiderose di raggiungere i livelli di sviluppo e di vita occidentali. Ritenevano possibile farlo solo con la collaborazione e l’aiuto finanziario e tecnico dell’Occidente, adottando i modelli economici e sociali del suo capitalismo democratico, anche quando miravano a rendersi indipendenti o anche ad opporsi alla sua politica.

Dal canto suo, l’Occidente era convinto di essere il motore della storia e dell’economia. Era persuaso di essere stimato, almeno temuto, da tutti. Era trainato, dopo la fine della guerra fredda, dall’ideologia “neoconservatrice” dominante nelle amministrazioni democratiche Usa, da Clinton in poi. Tale “marcia trionfale” fu colpita duramente, ma non arrestata, dalla crisi finanziaria del 2008. Ad essa molti attribuiscono l’inizio del declino dell’impero americano. Gli Usa, tuttavia, contribuivano, con le “primavere arabe” del 2011 e con la lotta al terrorismo, alla destabilizzazione di gran parte del mondo islamico.

L’ideologia neoconservatrice era basata sulla convinzione che il dominio dell’Occidente sarebbe divenuto irreversibile e che sarebbe rimasto base di un pacifico ordine mondiale, con la diffusione del benessere tramite la globalizzazione dell’economia e della tecnologia che avrebbe promosso inevitabilmente quella della democrazia. Diffusa era la certezza che il futuro del mondo fosse stato previsto con esattezza da Francis Fukuyama nel suo saggio sulla Fine della Storia, che conferiva dignità scientifica alla cosiddetta Dottrina Wolfowitz del 1992 (Defense planning guidance). Tale concetto, sul quale il presidente Bush sr. aveva espresso notevoli perplessità, divenne il “vangelo” delle amministrazioni Clinton e Obama.

Tale dottrina fu attuata immediatamente, senza tener conto dei riflessi negativi che l’abolizione della protezione dei sistemi economici e sociali, avrebbe avuto sui paesi occidentali, esposti a una c0ncorrenza che non potevano contrastare. I rischi dell’incontrollata liberalizzazione del commercio e della tecnologia, tutelata da misure come l’accesso della Cina al Wto, hanno destabilizzato il sistema occidentale, anche perché il resto del mondo, direttamente o tramite le Mnc, ha approfittato dell’opportunità offertagli dall’Occidente, per competere con le sue produzioni.

Rapidamente ci si è anche accorti che l’aumento del benessere non comportava la diffusione della democrazia, quindi di un ordine internazionale più pacifico, regolato dalle norme che gli Usa avevano promosso dopo la loro vittoria nel secondo conflitto mondiale. Da geopoliticamente vantaggiose, esse si sono trasformate addirittura in problemi e rischi, come si vede chiaramente oggi con il nuovo bipolarismo fra gli Usa e la Cina, con i contrasti con i Brics e il Sud Globale e, all’interno dell’Occidente, con la crisi del capitalismo democratico, con l’aumento delle disuguaglianze sociali e della coesione sociale e delle varie nazioni. I

n sostanza, l’Occidente è stato vittima del suo stesso successo. Ne aveva valutato erroneamente le conseguenze. Per questo, giustamente Franco Bernabé ha intitolato il suo stimolante saggio/intervista In trappola. L’avrebbe potuto intitolare anche “Il disastro delle buone intenzioni”. Esso è particolarmente disastroso in Europa, che non riesce a darsi una struttura federale, unica capace a metterla in condizioni di competere economicamente, finanziariamente e militarmente con le grandi potenze, fra cui è anche tornata più probabile che nel recente passato, la possibilità di conflitto armato.

Il pericolo insito nella globalizzazione era stato individuato sin dall’inizio del XXI secolo da Paul Wolfowitz, considerato “padre” teorico dei “neo-conservatori”, per il suo saggio del 1992. Passato dal Pentagono al Dipartimento di Stato e alla Banca mondiale, divenne fautore di “Chimerica (China and America) o G-2, cioè di un’intesa fra Usa e Cina per dominare e stabilire regole valide per tutti assetti mondiali di un mondo che rimarrà globalizzato, anche durante la nuova guerra fredda cha sarà economica e tecnologica fra gli USA e la Cina, in attesa che quest’ultima diventi vecchia prima di divenire troppo ricca e potente.

Wolfowitz non condivide la teoria di Allison della “Trappola di Tucidide”, cioè dell’inevitabilità di un conflitto armato fra Usa e Cina, né l’eventualità che possa riprodursi un “triangolo di Kissinger”, con Usa e Russia contrapposti alla Cina, come forse pensava Trump durante la sua prima amministrazione. Tra le due, appare evidente, stia sorgendo una nuova “guerra fredda”. Molto differente dalla precedente, che era incentrata sul confronto militare. La nuova sarà caratterizzata dalla competizione economica, tecnologica e anche sul soft power politico/sociale/informativo. L’Occidente non è più un “modello” da imitare. Consistenti parti del mondo guardano alla Cina. Il “Beijing Consensus” è più attrattivo del “Washington Consensus” per larga parte dell’élite del “terzo mondo”.

Esistono tensioni fra Usa ed Europa, malgrado la loro attenuazione derivata dall’aggressione russa all’Ucraina. Esse sono strutturali data la crescente maggiore efficienza del modello economico, finanziario, sociale e politico Usa rispetto a quello europeo e alla dipendenza dagli Usa della sicurezza europea. L’Europa è paralizzata non solo dalle sue divisioni e dalla sua crisi demografica e militare, ma anche dal senso di colpa nei riguardi del suo passato coloniale. Unitamente alle sue divisioni e persistenti invidie fra gli Stati, esso neutralizza l’influenza europea anche nei riguardi delle sue periferie, in particolare del Mediterraneo e dell’Africa.

Forse, l’unico modo di sopravvivere per l’Europa – superando, come suggerisce sempre Bernabè, anche le sue crisi demografica e religiosa – è quello di unirsi ancor più di oggi agli Usa, accettando di trasformare la Nato in un’Alleanza globale estesa all’Indo-Pacifico, abbandonando le fantasie dell’autonomia della sicurezza europea, che richiederebbe la ripresa dell’iniziativa Taviani Chaban-Delmas e Strauss del 1957 sulla “Bomba” europea (o, in alternativa, sulle nuove armi chimiche strategiche la cui costruzione è permessa dall’IA).

Infine, l’Unione Europea si caratterizza per una regolamentazione e conseguente burocratizzazione soffocanti, incompatibili con le esigenze di un’economia che non è più agricola e che è sempre meno manifatturiera, ma basata sulla finanza e sullo sviluppo tecnologico. All’eccesso di norme, quindi alla perdita di tempo e all’impegno dedicato per poter svolgere attività economiche ha attribuito, specie nel capitolo finale dell’interessante saggio, la responsabilità maggiore della mancata crescita con conseguente ridotta valorizzazione delle considerevoli potenzialità del nostro Paese inclusa la mancata creazione di grandi imprese, anche perché considerate con sospetto dalla politica, timorosa di non poterle controllare.

Come può salvarsi un Occidente vittima di sé stesso? Il libro di Bernabè letto da Jean

Forse, l’unico modo di sopravvivere per l’Europa, superando, come suggerisce Bernabè nel suo saggio, anche le sue crisi demografica e religiosa, è quello di unirsi ancor più di oggi agli Usa. Accettando di trasformare la Nato in un’alleanza globale estesa all’Indo-Pacifico, abbandonando le fantasie dell’autonomia della sicurezza europea. La recensione del generale Carlo Jean

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