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Assai interessante, per chi voglia capire cosa viene allestito sulla scena pubblica nel nostro Paese, è il risultato di un sondaggio svolto da ricercatori dell’universita’ di Urbino sul rapporto tra elettori, partiti e leader che li incarnano nell’attuale narrazione politica.

Il 56% degli italiani ritiene che la democrazia possa funzionare benissimo senza partiti, mentre solo il rimanente 44% continua a ritenere essenziale la loro presenza per l’equilibrio democratico. Il primo dato che balza agli occhi è quello della mancanza degli incerti che pure in altri momenti – il sondaggio è ciclico – avevano registrato valori che raggiungevano fino al 10%: siamo dunque in presenza di una polarizzazione che racconta qualcosa sulla vittoria dell’algoritmo e del trionfo digitale basato sullo schema binario, senza una sfumatura di incertezza?

Polarizzazione a parte emerge, senza ombra di dubbio, la sovrapposizione del leader al simbolo di partito: diciamo pure che “brand” e “testimonial” sono un tutt’uno. La cosa è tutt’altro che nuova, ovviamente, e divenne oggetto delle ricerche puntuali e fortunate di Calise all’inizio del nuovo secolo, a partire dal “partito personale” che soppiantava la forma-partito “comunità di militanti” dai vertici democraticamente contendibili.

All’epoca si studiò il formidabile potere politico della tv commerciale, attraverso il tycoon italiano Berlusconi che seppe trasformare uno strumento adoperato prioritariamente per la pubblicità di prodotti in dispositivo per la produzione di sogni politici. La comunicazione televisiva, dopo quella della carta stampata, è oggi ghettizzata in un segmento di pubblico super-adulto, e l’egemonia è ormai quella dei social, ma è interessante constatare che la svolta berlusconiana verso il cesarismo si è consolidata con l’egemonia del nuovo strumento al punto da considerarla l’unica possibile, o sicuramente preferibile al “partito”. Lemma che restituisce, probabilmente, un retrogusto di vecchio, incomprensibile, forse anche poco lineare.

A ben vedere le procedure democratiche lo sono anche, agli occhi del nuovo “pubblico” e del “digitale”, che ha fatto della velocità/semplificazione il suo totem, mentre invece la democrazia è necessaria complessità e si muove entro orizzonti “ontologicamente” lenti. Come si può immaginare diversamente la procedura parlamentare che conduce alle leggi, se non come un percorso di confronti dialettici e di ascolti incompatibile con l’idea di “immediato”?

E infatti il portato della nuova stagione racconta di una drastica riduzione di peso e di ruolo dei parlamenti, con la devoluzione ai governi del 70-80% della funzione legislativa, con buona pace del Montesquieu e la conseguente penalizzazione della funzione del singolo parlamentare, grazie anche a sistemi elettorali che legittimano la cooptazione in lista bloccata da parte del Cesare di turno.

La ricerca dell’università di Urbino certifica quello che in forma liofilizzata respiriamo ogni giorno nella nostra aria: polarizzazione, cancellazione delle sfumature e della complessità, cesarismo imperante, svuotamento della democrazia dei partiti, egemonia dei social nel processo di informazione.

Polveri sottili che ci contaminano fino all’assuefazione. Confessiamolo, abbiamo vissuto stagioni migliori.

Phisikk du role - La Democratura dei cesari

Il sondaggio dell’università di Urbino sul rapporto tra elettori, partiti e leader certifica quello che respiriamo ogni giorno: polarizzazione, cancellazione delle sfumature e della complessità, cesarismo imperante, svuotamento della democrazia dei partiti, egemonia dei social nel processo di informazione. Polveri sottili che ci contaminano fino all’assuefazione. Confessiamolo, abbiamo vissuto stagioni migliori. La rubrica di Pino Pisicchio

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