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Non è tutto oro quel che luccica. “L’unità totale” su Brexit e le dichiarazioni di intenti su “una politica industriale comune in Europa” professati ieri nel nuovo incontro all’Eliseo tra Angela Merkel ed Emmanuel Macron non sono riusciti a dissolvere le divergenze nel campo della difesa.

L’EFFETTO AQUISGRANA

Per qualche settimana, la firma del trattato di Aquisgrana era riuscita a oscurare distanze mai colmate soprattutto sul fronte dell’export militare, per cui sono già arrivate le dichiarazioni critiche dal ceo di Airbus Tom Enders, secondo cui l’azienda sarebbe pronta a escludere le componenti tedesche dai propri sistemi per facilitarne le vendite internazionali. I nodi sembrano dunque venire al pettine, con una serie di notizie che dai quotidiani transalpini rimbalzano fin oltre l’oceano, da dove gli Stati Uniti di Donald Trump continuano a osservare con attenzione ciò che accede nel Vecchio Continente, soprattutto in un settore di particolare rilevanza strategica.

TRA PROCLAMI E DIFFICOLTÀ

Sull’intenzione di non cambiare l’accordo europeo per l’uscita della Gran Bretagna l’intesa è “totale”, ma la strada per una “road map” nel campo industriale (invocata dal presidente francese) appare lunga e tortuosa, come tra l’altro ha recentemente confermato la bocciatura di Bruxelles nei confronti della fusione tra Siemens e Alstom. Sul fronte della Difesa le cose appaiono addirittura più complesse. Il tema più spinoso riguarda l’export militare, su cui i francesi non hanno mai apprezzato la cautela e la rigidità delle pratiche tedesche. Il dossier è sul tavolo da tempo e coinvolge una molteplicità di programmi, compreso il “caccia del futuro” che Berlino e Parigi hanno deciso di sviluppare insieme, l’Fcas.

IL SEGNALE DI AIRBUS

Un segnale emblematico è arrivato dal colosso Airbus, che avrebbe già valutato una nuova progettazione del velivolo da trasporto militare C295 (208 ordini da 28 Paesi), costruito in Spagna, in modo da rimuovere le componenti teutoniche. A preoccupare l’azienda è soprattutto il congelamento dell’export che il governo tedesco ha deciso di applicare all’Arabia Saudita lo scorso ottobre, sulla scia degli eventi legati alla morte del giornalista Jamal Khashoggi. Al gruppo europeo, ha detto una fonte autorevole a Reuters, non piace la “moral superelevation” di Berlino, “frustrante” per le considerevoli ramificazioni che Airbus possiede in Francia, Regno Unito e Spagna.

L’INSODDISFAZIONE DI PARIGI E LONDRA

Solo la scorsa settimana, l’Spd tedesco ha affermato l’intenzione di prorogare il blocco all’export verso Riad oltre la scadenza di inizio marzo, per un business che Airbus stima in miliardi di dollari. Secondo la stampa francese, gli effetti di tutto questo si sarebbero già fatti sentire, ad esempio sulla decisione della fornitrice Nicolas Industrie di tagliare alcuni posti di lavoro. Alcuni giorni fa un monito è arrivato dalla britannica Bae Systems, che guida il consorzio Eurofighter nel contratto di fornitura di 48 velivoli all’Arabia Saudita. L’azienda ha fatto sapere che i risultati finanziari potrebbero essere colpiti dalla decisione tedesca che, per altre fonti industriali, potrebbe avere effetti anche sul programma di aggiornamento del Typhoon.

UNA QUESTIONE DI CULTURE STRATEGICHE

Non ha nascosto il problema il ministro francese dell’Economia Bruno Le Maire a margine del recente incontro a Berlino con l’omologo tedesco Peter Altmaier. La questione dell’export militare, ha spiegato, resta il principale punto di frizione. “È inutile produrre armamenti per migliorare la cooperazione tra Francia e Germania se non li potete esportare”, ha detto a Die Welt. Un’impostazione già sposata (seppur in senso inverso) dalla cancelliera Merkel, che alla Conferenza sulla sicurezza di Monaco affermava: “Se non abbiamo una cultura comune sull’export di armamenti in Europa, lo sviluppo di sistemi d’arma comuni è a rischio”. Il problema, nota oggi Le Figaro, sono “le culture strategiche differenti”, con distanze evidenti su tanti dossier, a partire dal concetto stesso di autonomia strategica dell’Europa e dal rapporto con gli Stati Uniti, mai in discussione per i tedeschi, da rivedere per i francesi (con le numerose frecciate tra Macron e Trump a dimostrarlo).

LA PARTITA DELLA DIFESA EUROPA

Simili divergenze sono emerse anche sul tema della Difesa europea, su cui la Francia ha promosso un approccio esclusivista, mirato a rafforzare la spinta degli Stati più determinati, salvo trovarsi a discutere con la Germania, primo sponsor (con l’Italia) di un modello di maggiore inclusione, poi effettivamente prevalso sulla cooperazione strutturata permanente (Pesco, con 25 Paesi partecipanti). Sulla stessa linea, con malcelato scetticismo, Berlino ha aderito alla European intervention initiative (Ei2) voluta da Macron con obiettivi non chiarissimi e comunque estranea tanto al contesto della Nato, quanto a quello dell’Unione europea. Attenzione però a confondere tali attriti con un indebolimento dell’asse appena rinsaldato. La struttura istituzionale che il trattato di Aquisgrana ha dato al partenariato franco-tedesco (con scambi di ministri e incontri periodici) offre tutti gli strumenti per superare le divergenze. Se a ciò si aggiungono le dichiarazioni sopracitate di “accordo totale” su altri temi e l’intenzione di elaborare “una road map industriale per l’Europa”, il segnale di attenzione per l’Italia resta forte. In gioco c’è una buona fetta del patrimonio produttivo nazionale.

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