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Il segretario di Stato americano, Mike Pompeo, è impegnato in un viaggio nell’Europa dell’Est, tra Ungheria, Slovacchia e Polonia. Come ha spiegato alla stampa accreditata uno sherpa del dipartimento di Stato prima della partenza di lunedì, la visita di Pompeo serve a riattivare i contatti con quella zona europea che più sensibilmente risente delle ingerenze russe ed è soggetta alle penetrazioni cinesi: l’assenza di un adeguato “engagement americano” negli ultimi anni ha creato “un vacuum“, ossia un vuoto riempito da altri attori (in particolare quei due paesi che gli Stati Uniti considerano “rival powers” secondo l’ultima dottrina strategica), spiega il funzionario da Foggy Bottom.

Ci sono questioni di carattere politico, vicinanze su certi dossier, ma anche aspetti più tecnico-operativo. Collaborazioni nell’ambito della sicurezza, preoccupazioni americane per la necessità di differenziazione nell’approvvigionamento energetico (troppa dipendenza dalla Russia), pressioni nel campo del 5G (dove gli Stati Uniti cercano via via partner per costruire nel modo più corposo possibile il blocco internazionale ad excludendum contro le compagnie di telecomunicazioni cinesi come Huawei e Zte). Gli Stati Uniti annunciano di voler aiutare quei paesi nella lotta alla corruzione, che è vista come un elemento che facilita le penetrazioni russo-cinesi.

Un’attenzione particolare va alla Polonia, dove gli americani hanno deciso di organizzare un summit internazionale sul Medio Oriente al quale parteciperà il vice presidente Mike Pence, raggiunto mercoledì da Pompeo – una location improbabile per parlare della regione, ma che ha un valore politico. L’incontro sarà un’occasione per sottolineare la posizione d’ingaggio americana contro l’Iran, che è un pilastro della postura strategica statunitense nella regione, ed è giocata insieme agli alleati fondamentali nel Golfo e a Israele, mentre trova opposizione tra i partner dell’Unione Europea.

Washington potrebbe utilizzare un allineamento con la Polonia anche sul dossier Iran per sottolineare le rispettive (e reciproche) differenze con Bruxelles. Si scrive “anche” perché ultimamente Varsavia ha dato dimostrazione di essere piuttosto ricettiva ai messaggi di lealtà richiesti dall’amministrazione Trump. È un rapporto molto spinto dal presidente Andrzej Duda che da quando ha vinto le elezioni col suo partito nazionalista Diritto e Giustizia nel 2015  ha subito cercato di creare un asse con Washington, solo che la precedente amministrazione Obama non era così disponibile, mentre Donald Trump aprì il suo primo tour europeo – quello che anticipava il G20 di Amburgo – andando a Varsavia (era il luglio del 2017). Ospitata ricambiata da Washington, quando nel settembre scorso Duda è andato alla Casa Bianca (un obiettivo che il polacco puntava da tre anni).

C’è una vicinanza politica, sul nazionalismo, il recupero di sovranità, l’antieuropeismo e l’anti immigrazione. Qualche esempio concreto di questa collaborazione che trova substrato sull’atlantismo di Varsavia: a metà gennaio la polizia polacca ha arrestato un cittadino cinese che lavorava per Huawei con l’accusa di spionaggio, inserendosi nel caso internazionale che coinvolge la società cinese contro gli Stati Uniti e i loro migliori alleati; a novembre la statale PGNiG ha firmato un contratto di fornitura di gas naturale liquefatto per 24 anni con l’americana LTS Cheniere che permette agli Stati Uniti di esportare energia, allo stesso tempo segue le richieste di Washington di alleggerire la dipendenza energetica dalla Russia (che per la Polonia era pari al 66 per cento) e dà un atto concreto che segue le critiche di Varsavia sul gasdotto Nord Stream 2 (posizione totalmente sostenuta dagli Usa); la Polonia è un alleato leale nella Nato, che spende il 2 per cento del Pil in Difesa come Trump ha iniziato a pretendere apertamente, e che ospita soldati americani in funzione di deterrente anti-russo, e che vorrebbe che quella presenza fosse permanente costruendo una base americana sul proprio territorio da chiamare “Fort Trump” (virgolettato per bocca di un impacciato ed emozionato Duda alla Casa Bianca).

Queste vicinanze operative non escludono contrasti: parti dell’apparato americano non hanno gradito le regole non propriamente democratiche sulla riforma della Corte Suprema polacca (e la nomina governativa dei nuovi giudici, su cui l’Ue ha avviato l’articolo 7 dello Statuto, ossia la possibilità di sospensione del diritto di voto in sede comunitaria per violazioni dello stato di diritto) e altre hanno condannato – al fianco di Israele – la legge votata dall’esecutivo di Varsavia che vieta l’uso della formula “campi di concentramento polacchi”. Ma la Polonia è uno sparring partner utile per la questione Iran.

L’uscita trumpiana dall’accordo sul congelamento del programma nucleare iraniano è probabilmente il principale dei dossier con cui l’attuale Casa Bianca ha messo più in difficoltà le relazioni transatlantiche. L’Unione Europea sta cercando di mantenere in vita il deal e i suoi effetti (quelli pratici, la riapertura delle relazioni commerciali con l’Iran seguita al decadimento delle sanzioni; quelli politici, la possibilità di mantenere una linea di relazioni per non far sfuggire completamente Teheran fuori controllo), mentre l’amministrazione Trump sta lavorando per creare un fronte unito contro la Repubblica islamica.

Varsavia serve come spalla: nella conferenza il compito degli americani sarà quello di sottolineare la necessità di allinearsi alle decisioni sull’Iran, usando anche certe distanze di visioni tra Polonia e Ue. L’Alta rappresentante dell’Ue per gli affari esteri, Federica Mogherini, ha annunciato che non parteciperà all’incontro citando problemi di agenda; e lo stesso hanno fatto altri ministri europei, mentre ci sarà il premier israeliano Benjamin Netanyahu. È piuttosto evidente che defezioni e presenze sono legate a incompatibilità o meno sull’argomento Iran.

Secondo il quotidiano polacco Rzeczpospolita, quando Pompeo ha annunciato – in un’intervista su Fox News dal Cairo, dove aveva tenuto un discorso molto duro contro Teheran – l’idea di organizzare la conferenza in Polonia “per assicurarsi che l’Iran non sia un’influenza destabilizzante”, il governo di Varsavia è stato preso più o meno alla sprovvista e ha dovuto gestire la situazione con gli iraniani, che hanno subito convocato l’ambasciatore polacco e messo in discussione le relazioni tra i due paesi (che hanno soprattutto uno sfondo sulla politica energetica). Il ministro degli Esteri iraniano, Javad Zarif, è stato molto duro con Varsavia, accusandoli di ospitare un “circo anti-Iran” dimenticando di quando “l’Iran ha salvato i polacchi nella seconda guerra mondiale”.

“Siamo nella posizione di essere subappaltatori della politica estera americana”, ha detto a Politico Marcin Zaborowski, del think tank Visegrad Insight di Varsavia. Diversi analisti pensano che l’allineamento con Washington possa procurare un ulteriore isolamento in Europa per la Polonia. Il ministro degli Esteri polacco, Jacek Czaputowicz, padrone di casa insieme a Pompeo della conferenza, ha invece detto la scorsa settimana che la Polonia ha accettato di ospitare l’incontro per “mostrare al mondo che siamo attivi nel garantire pace e stabilità”, e si è proposto come mediatore tra Usa e Ue sul dossier iraniano.

(Foto: Twitter, @StateDept)

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