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Un ultimo esempio (anche se ve ne potrebbero essere altri) di come riusciamo a farci del male non adeguando la nostra normativa ai cambiamenti intervenuti in ogni aspetto dello scenario e, in particolare, ai rapidi cambiamenti che si susseguono, viene dalla mancanza di specifiche regole e procedure per gestire quella che è ormai diventata una “economia di emergenza”, a cavallo fra quella del passato “di pace” e quella – che speriamo non dover vedere – “di guerra”.

Come avviene in occasione delle emergenze naturali (con più o meno responsabilità umane), serve una normativa “dedicata” per acquisire quanto necessario e impiegarlo. Attualmente si stima che fra l’approvazione di un programma di acquisizione e la firma del contratto possano passare anche anni. Se poi si aggiungono i tempi per la certificazione dei mezzi, gli anni si moltiplicano.

Peraltro, si continua a fare un sistematico ricorso all’esenzione prevista dall’articolo 346 del Trattato per non applicare la normativa europea, come se la comunicazione interpretativa emanata dalla Commissione europea nel 2006 o la Direttiva europea 2009/81 non esistessero. In questo modo si continua ad esporre il nostro Paese al rischio di procedure di infrazione. Ma va riconosciuto che, anche in questo caso, il recepimento della Direttiva col decreto legislativo 208/2011 è stato gestito solo sotto il profilo giuridico, senza coinvolgere né gli organismi che si occupano delle acquisizioni (in particolare il Segretariato generale della Difesa/Direzione nazionale degli armamenti) né le imprese fornitrici. Per di più, si è commesso un errore di fondo, quello di inserire le regole europee per gli acquisti nel campo della difesa e della sicurezza nel Codice per gli appalti pubblici (decreto legislativo 163/2006) in contrasto con la stessa posizione italiana durante la preparazione della Direttiva. In questo modo se ne è resa più difficile e complicata l’applicazione e, di sicuro, non si è nemmeno favorita la conoscenza di strumenti giuridici nuovi che possono assicurare un buon punto di equilibrio fra un minimo di competizione europea e tutela degli interessi nazionali.

Tra gli altri, uno dei problemi da risolvere riguarda il necessario compromesso che va trovato fra l’esigenza di una programmazione pluriennale delle acquisizioni e quella di stare al passo con l’innovazione tecnologica. Quest’ultima consente e, spesso, impone continui cambiamenti di configurazione dei sistemi da acquisire, con relative sostituzioni di parti e componenti che non sono più reperibili sul mercato. Va quindi introdotta nella normativa e nelle procedure una maggiore flessibilità che consenta di apportare più velocemente i cambiamenti necessari senza dover rimettere tutto in discussione.

Questo dovrebbe valere per l’ottenimento del parere parlamentare (che comunque sta diventando un passaggio puramente formale), per la definizione del contratto e relativa registrazione, e per la certificazione dei mezzi (quando i cambiamenti non ne alterano le caratteristiche). Quest’ultima indispensabile attività è, oggi, fortemente penalizzata dalla mancanza di personale qualificato, anche perché è già oberato dall’attività contrattuale. Una soluzione potrebbe essere rappresentata dall’affidare, sotto il controllo della Difesa, una parte delle attività di certificazione ai soggetti esterni che già si occupano delle certificazioni civili. La presenza di realtà italiane, una semipubblica, garantirebbe, oltre all’affidabilità, anche la necessaria riservatezza delle informazioni utilizzate.

Più in generale dovrebbero essere potenziate tutte le direzioni tecniche del ministero della Difesa, anche con un reclutamento straordinario di neolaureati oltre che con l’utilizzo degli ex-tecnici in pensione, ai quali andrebbero offerti eccezionalmente efficaci incentivi fiscali. Senza un numero maggiore di tecnici, i tempi di gestione di ogni programma continueranno ad essere fortemente penalizzati.

Lo dimostra esplicitamente il continuo affidamento, da parte dell’Italia, di importanti programmi di acquisizione nazionale all’Occar, l’agenzia congiunta per la cooperazione in materia di armamenti, operativa dal 2001 con sede in Germania, a cui partecipano i principali Stati membri e il Regno Unito. Per accorciare i tempi e gestire le complessità di alcuni grandi programmi, preferiamo passarli all’Occar che li gestisce costituendo specifici organismi formati dagli ufficiali distaccati dal nostro ministero della Difesa. In questo modo, il programma resta in mani italiane ma le norme applicabili sono quelle dell’agenzia europea (dando per scontato che le scorciatoie giuridiche sono, nel nostro Paese, più semplici delle modifiche alla strada maestra).

Tutto questo non ci dovrebbe, comunque, esimere dal predisporre una specifica normativa adatta ad operare in una “economia di emergenza”. Una volta approvata dal Consiglio supremo di difesa, presieduto dal Presidente della Repubblica, e deliberato dal Consiglio dei ministri, potrebbe consentire una più rapida approvazione e gestione dei contratti, anche prevedendo adeguate indennità a favore delle imprese coinvolte, se costrette a svolgere l’attività in modo straordinario o se, per rispondere a specifici requisiti di urgenza delle nostre Forze Armate, dovessero incorrere in penali facendo slittare eventuali forniture a clienti esteri.

Un ulteriore, ma non ultimo, vantaggio di una normativa di “emergenza” sarebbe quello di far comprendere alla nostra opinione pubblica, ai suoi rappresentanti e al mondo dell’informazione la gravità della situazione perché l’incendio si sta propagando in molte parti del mondo e la deterrenza è sicuramente uno degli strumenti più validi per contenerlo.

(Si possono leggere qui la prima parte, la seconda parte e la terza parte di questa riflessione)

farmaceutica

Difesa, all'Italia serve una normativa sull'economia di emergenza. L'analisi di Nones

Serve una normativa dedicata per gestire quella che è ormai diventata una “economia di emergenza” e far comprendere all’opinione pubblica, ai suoi rappresentanti e al mondo dell’informazione la gravità della situazione. L’incendio si sta propagando in molte parti del mondo e la deterrenza è sicuramente uno degli strumenti più validi per contenerlo. L’analisi di Michele Nones, vicepresidente dell’Istituto affari internazionali, nella quarta e ultima parte di una riflessione a puntate sulla Difesa europea

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