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Sfumata la finestra elettorale, depotenziata la minaccia di far saltare tutto, i due padroni del governo si ritrovano uno in minoranza e l’altro avviato alla vacanza. Per averne la misura si ascoltino le parole del presidente del Consiglio e del ministro dell’Economia.

Disinnescando la procedura d’infrazione, che in Europa nessuno voleva, ma che in Italia aveva sostenitori di prima grandezza, Conte e Tria hanno dimostrato che: a) La Commissione europea, contrariamente a quanto sostenuto da Di Maio e Salvini, era saldamente nell’esercizio delle proprie funzioni; e b) quella a venire sarà meno accomodante, quindi meglio chiudere in fretta i negoziati. Gli effetti si sono visti subito, con un drastico calo dello spread e, a valere su settembre, con un meno probabile declassamento del debito italiano. Un successo, indubbiamente, ma ottenuto in direzione opposta a quella dei proclami dei due vice presidenti.

A quel punto Conte ha piazzato il suo carico: sarebbe saggio che i parlamentari europei italiani votino a favore dei nuovi vertici europei. Invito che giunge all’indomani dell’avere lo stesso Conte subito l’indirizzo politico di porre un veto alla nomina di un socialdemocratico tedesco alla presidenza della Commissione (e bruciando così anche l’ipotesi di portare alla Bce il presidente della banca centrale finlandese, che avrebbe tanto fatto comodo all’Italia), così innescando un isolamento italiano che non porta nulla di buono. Della serie: a dare retta a voi si prendono solo mazzate.

Di rincalzo arriva il ministro dell’Economia, che mette in fila i numeri e racconta l’aggiustamento dei conti (non sia mai la si chiami “manovra correttiva”), ottenuto con più fisco (soprattutto fatturazione elettronica, ieri bestia nera dei due vice), due entrate straordinarie da Banca d’Italia e Cassa depositi e prestiti (quindi un potere che si voleva demolire e un soggetto di cui si voleva fare una simil Iri), e i risparmi da quota 100 e reddito di cittadinanza, portati a diminuzione del deficit. Non solo i due vice negavano anche la sola ipotesi, ma Tria aggiunge che questo varrà anche per il 2020. E non si ferma, aggiungendo che: 1) i mini bot sono una boiata di cui, fortunatamente, non si parla più; 2) lo spread è sceso, ma resta alto, quindi basta con le provocazioni; 3) la riforma fiscale si dovrebbe fare accorpando e diminuendo le aliquote Irpef. La quale ultima cosa è giusta, ma l’opposto della falsa flat tax.

Il tutto mentre il duro ministro tedesco Seehofer, qualche settimana addietro invocato come novello interlocutore di Salvini, invita ad aprire i porti (che non sono mai stati chiusi) e governare l’immigrazione in accordo con gli altri. E mentre gli uomini di mare, anche in divisa, faticano a credere che si possa non tratte a secco gente che rischia di affogare.

Nulla di tutto questo è la soluzione di alcunché, tutto rientra nel novero del barcamenarsi e rinviare, ma tutto suona all’opposto delle fanfare fino a qualche giorno fa squillanti e ora singhiozzanti. Il cambio di passo è evidente, una volta interrotta la possibile marcia elettorale.

Non è, però, un nuovo equilibrio, non è una condizione di possibile stabilità, perché il punto di forza dei due vice, quello finito in minoranza e quello cui si suggerisce una vacanza, rimane quello già conosciuto: l’imbarazzante debolezza politica e programmatica delle forze politiche d’opposizione. Un vuoto, quello, che non potrà certo chiedersi a Conte e Tria di riempire.

Conte e Tria vincono la tappa dimostrando che... L'opinione di Giacalone

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