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Mario Draghi nell’ultima audizione compiuta ieri al Parlamento Europeo come presidente della Bce ha rassicurato sulla disponibilità della Banca Centrale a reagire al rallentamento economico ma escludendo che la banca possa decidere di reinstaurare quest’anno acquisti di debito sul mercato (il Quantitative Easing che ha salvato i vari Paesi nel recente passato). Senza risparmiare una analisi lucida soprattutto rivolta ai Paesi ad alto debito come ovviamente il nostro, poiché l’indebitamento rappresenta il problema maggiore offrendo ai mercati finanziari l’arma più letale per indebolire il sistema economico.

Noi dobbiamo aver sempre presente che se il 132% di rapporto tra debito e Pil può sembrare un numero astratto, molto più concreti sono i circa 65 miliardi di euro di interessi che lo Stato italiano ha versato lo scorso anno agli investitori di tutto il mondo. L’equivalente di due corpose manovre di bilancio. Mario Draghi ha sostenuto che “un debito pubblico elevato riduce la sovranità nazionale di un Paese perché l’ultima parola nel giudicare i conti pubblici è affidata ai mercati, istituzioni non elette, fuori dal quadro democratico”. I dati sulla congiuntura nell’unione monetaria sono “più deboli dell’atteso”; “la persistenza delle incertezze, in particolare collegate a fattori geopolitici e alla minaccia di protezionismo, pesa sul sentimento economico”. L’incertezza del quadro economico più debole del previsto con un’incalzante crescita al ribasso colpisce l’area euro anche e soprattutto quando il 29 marzo il Regno Unito ne uscirà senza sempre più con un improbabile accordo”.

“L’economia italiana è cresciuta e sta crescendo meno delle altre economie della zona euro”. Ma se vero è che è troppo presto per valutare se il governo Conte dovrà introdurre una manovra correttiva per ripianare le finanze pubbliche, soprattutto – ha detto Draghi – “dipenderà tra le altre cose dal gettito fiscale”. Ma noi sappiamo bene che sia il reddito di cittadinanza che quota 100 sono due provvedimenti a rischio poiché gli italiani cominciano finalmente a capire che anticipare il pensionamento significa percepire solo dopo 5 anni la liquidazione e un trattamento di pensionamento molto decurtato per i contributi mancanti e soprattutto il reddito di “cittadinanza” sarà una partita già persa in partenza poiché oggi le politiche attive del lavoro sono, al pari di quelle sociali, prerogative delle regioni e il governo nella sua demenziale prepotenza non solo ha invaso sia le prime che le seconde all’urlo.

“È tornato lo stato sociale” ma rischiamo che non funzionino, e che siamo invasi dai ricorsi. Stabilizzare il personale precario dei Centri per l’impiego prevedendo un piano serio di assunzioni e soprattutto formazione, costruire insieme alle regioni un quadro certo di procedure e di infrastrutture e piattaforme digitali che dialoghino tra di loro è la priorità per non sprecare quei miliardi che invece ci servivano per sostenere il lavoro e le imprese e abbattere quell’insopportabile cuneo fiscale che ci rende non competitivi e un facile e ghiotto bottino/Paese da conquistare come peraltro dall’Oriente e non solo, per pochi danari il made in Italy si sta svendendo. Ma sia Inps che Ampal le due strutture che dovrebbero farsi carico delle due promesse elettorali dei gialloverdi non solo non sono in grado di mettersi all’opera ma non sanno neanche a tutt’oggi come, poiché mancano le indicazioni operative.

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