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Le ultime parole del presidente ucraino Volodymyr Zelensky aprono, una volta in più, uno squarcio sull’esigenza di ragionare – dalla prospettiva dell’Unione europea – in modo “serio e non più derogabile” di Difesa comune. Partendo da una “corretta narrazione di cosa significhi, realmente, investire in un settore sempre più strategico”. A dirlo è l’europarlamentare del Ppe Salvatore De Meo, presidente delegazione Ue all’assemblea parlamentare Nato e componente della Commissione Difesa. 

Dalla sua prospettiva, che cosa occorre cambiare in termini di narrazione?

Far capire all’opinione pubblica che gli investimenti nella Difesa sono la base per una politica estera degna di essere chiamata tale. Occorre veicolare il messaggio che Difesa significa posizionamento politico, relazioni internazionali, indotto e, soprattutto, capacità di deterrenza. Non è una corsa agli armamenti, è politica.

La priorità, tuttavia, restano gli investimenti.

La priorità, a mio modo di vedere, è che gli investimenti dei Paesi dell’Unione siano scomputati dai vincoli imposti dal nuovo Patto di Stabilità. Solo così si potrà davvero fare un passo avanti significativo. Peraltro il nuovo esecutivo europeo si sta dimostrando proattivo nell’approccio alla Difesa.

Come si sostanzia questo impegno a livello comunitario?

Il fatto che da sottocommissione la Difesa abbia avuto una sorta di upgrade e abbia una commissione autonoma mi sembra un elemento significativo sul piano operativo. Attraverso questo strumento saremo sicuramente più incisivi nella capacità di costruzione di strategie comuni. E, come confermato anche da von der Leyen, l’obiettivo è quello di rafforzare il pilastro dell’Unione europea nell’ambito del Patto Atlantico e dunque della Nato. L’anno prossimo, fra l’altro, l’Ue siederà all’interno dell’assemblea parlamentare della Nato come partner.

Senz’altro il tema della difesa comune rappresenta uno dei pilastri per la costruzione di una politica estera comunitaria, tuttavia non può essere l’unico elemento sul quale concentrarsi.

La politica estera comune dipenderà prima di tutto dalla capacità che avrà l’Unione europea di parlare a una voce, evitando le frammentazioni che l’hanno caratterizzata negli ultimi anni. Di qui la necessità impellente di rivedere alcuni meccanismi che regolano la governance a partire dal voto all’unanimità. La riforma dei trattati deve essere uno dei temi in cima all’agenda delle priorità.

Ritiene siano inadeguati rispetto al contesto globale in cui si trova a dover fare i conti l’Ue?

Penso che siano strumenti anacronistici, che andavano bene qualche decennio fa ma che ora necessitano di correttivi. Il contesto globale impone all’Europa risposte immediate, snelle. Non possiamo fronteggiare questa situazione con trattati inadeguati alla portata delle sfide. Il fatto che occorra un balzo in avanti lo sottolineano molto bene sia il documento elaborato da Mario Draghi sia quello stilato da Enrico Letta.

A proposito di posizionamento atlantico, come crede che possano variare i rapporti fra l’Europa e gli Stati Uniti all’indomani dell’insediamento di Donald Trump alla Casa Bianca?

Quello con gli Stati Uniti è un rapporto che deve essere rilanciato con la consapevolezza che – da parte dell’Europa – ci deve essere uno sforzo maggiore per conquistare uno spazio politico che in questo momento non abbiamo. Dobbiamo sederci al tavolo con pari dignità, avendo gli Stati Uniti come riferimento ma senza essere spettatori. Contribuendo invece al rafforzamento della capacità difensiva del Patto Atlantico.

Nel contesto europeo, qual è effettivamente il ruolo dell’Italia?

Il ruolo del nostro Paese è fondamentale per rilanciare il progetto europeo. Grazie alla stabilità del nostro esecutivo, stiamo dimostrando di essere all’altezza delle sfide. E lo dimostra anche l’ottimo lavoro svolto nel corso della presidenza del G7.

Difesa comune e riforma dei trattati. Cosa serve all'Ue secondo De Meo (Ppe)

Le ultime parole del presidente ucraino Volodymyr Zelensky aprono, una volta in più, uno squarcio sull’esigenza di ragionare – dalla prospettiva dell’Unione europea – in modo “serio e non più derogabile” di Difesa comune. La politica estera dipenderà dalla capacità che avrà l’Ue di parlare a una voce, evitando le frammentazioni che l’hanno caratterizzata negli ultimi anni e modificando i trattati. Colloquio con il presidente delegazione Ue all’assemblea parlamentare della  Nato e componente della Commissione Difesa

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