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È importante soltanto essere vivi. Questo il “manifesto” dei sopravvissuti di Gaza che si aggirano per gli anfratti demoliti della città alla ricerca di rivoli d’acqua per potersi dissetare e lavare onde scongiurare infezioni ed epidemie. Dentro la Striscia è l’apocalisse, ha scritto Francesco Battistini sul Corriere della sera. Ed ha fornito i dettagli della carneficina di civili.

“Tacciono i cellulari rimasti senza carica e più d’una ventina di giornalisti palestinesi, senza vita. Si naviga a vista, per raccontare i gazawi che pagano la follia jihadista e dell’operazione Tempesta d’Al Aqsa. Negli obitori strapieni, nelle fosse comuni, nei camioncini dei gelati usati come carri funebri, a sentire Hamas ci sono 5.791 morti. E 2.360 di questi — il 40 % — sono bambini e adolescenti. I feriti: 16.297, un quarto gravissimi. I dispersi sono 1.550 e più della metà (870) bambini. Il movimento Jihad esalta chi è salito nel paradiso dei martiri, senza dire una parola sull’inferno dei vivi: ‘Stiamo passando da una situazione disperata a una catastrofica’, sintetizza l’Oms, l’Organizzazione mondiale della sanità”.

Ecco il quadro tragico che si presenta in conseguenza dell’attacco di Hamas ad Israele il 7 ottobre scorso. Qualcuno dovrà pagare. E non può certo essere la popolazione civile in massa che ha fin qui dato un cospicuo contributo di sangue alla follia dei jihadisti che vogliono cancellare Israele. A Tel Aviv si ragiona su come dare una lezione definitiva ai terroristi senza far troppo male alla gente di Gaza. E sembra che nessuno abbia ancora trovato la chiave del rebus. Se Netanyahu sembra deciso ad andare fino in fondo con un attacco di terra che sarebbe una carneficina, posto che i palestinesi non farebbero in tempo a percorrere i tunnel della salvezza fino ad approdare in Egitto, in Israele c’è chi è palesemente contrario a questa soluzione, ma non indica un modo per vendicare i morti del suo Paese, le famiglie sgozzate nei kibbutz, i bambini massacrati, gli ostaggi che Hamas con il contagocce ha cominciato a liberare dimostrando non certo umanità, ma accentuando il ricatto per far sapere agli israeliani che se mettono fine all’aggressione i loro connazionali torneranno a casa.

Intanto si muore. E dopo tre settimane di delirio assassino, mentre le parti s’invertono quotidianamente, non si vede la luce in fondo al tunnel, a meno di non voler considerare le varie e vaghe proposte che si sollevano dai quattro angoli del mondo, praticabili almeno in parte.

La più apparentemente sensata è stata portata in Medio Oriente dal presidente francese Emmanuel Macron. Ai capi di Stato e di governo interessati ha semplicemente avanzato un’idea che potrebbe funzionare. Si potrebbe creare, ha detto Macron, una coalizione internazionale, da parte di chi è interessato, per colpire Hamas tenendo al riparo la popolazione civile, come venne fatto nel 2014 per battere l’Isis dopo gli attacchi terroristici effettuati non solo nell’area dove agiva indisturbata, tra il Kurdistan, la Siria e l’Iraq, ma anche in Europa e soprattutto in Africa dove ha mietuto più vittime grazie all’appoggio dei confratelli nel terrore di Boko Haram.

Scetticismo. Hamas usa la popolazione come scudo. È piuttosto difficile esfiltrare i capi per farli condannare o assassinare, così come sembra impossibile che essi si facciano trovare sulla soglia dei loro covi che nessuno conosce, del resto, con i kalashnikov spianati per dare il benvenuto a chi vorrebbe fargli la pelle.

Arrivare ad Hamas è piuttosto velleitario senza che l’attacco si ripercuota sulla popolazione civile. E poi, quali sarebbero le nazioni arabe soprattutto disposte a stare con gli occidentali in una lega che superi tutti gli ostacoli e che magari agisca sotto l’egida dell’Onu? Le Nazioni Unite sono state appena delegittimate da Israele quando il segretario generale Antonio Guterres, davanti al consiglio di Sicurezza, ha detto imperterrito: “È importante riconoscere che gli attacchi di Hamas non sono arrivati dal nulla, il popolo palestinese è stato sottoposto a 56 anni di soffocante occupazione”. Le reazioni diplomatiche israeliane si sono scatenate. Gilad Erdan, ambasciatore all’Onu, ha chiesto le dimissioni di Guterres e si è domandato “in che mondo vive? Non certo nel nostro. Come può fornire giustificazioni alla strage?». Il ministro degli Esteri Eli Cohen ha annullato l’incontro con il segretario generale e dall’Europa le sue parole sono state stigmatizzate quasi da tutti i governanti. “Un discorso vergognoso”, lo hanno definito le famiglie degli ostaggi.

Ma non è soltanto Hamas il “nemico principale” di Israele. Dietro le quinte, ma non tanto, c’è l’Iran che nell’area agisce attraverso Hezbollah che ha in Libano la propria roccaforte. Riferendosi a questa fazione del terrorismo mediorientale, il ministro dell’Economia israeliano Nir Barkat al Daily Mail ha dichiarato: “Il piano dell’Iran è di attaccare Israele su tutti i fronti. Se realizziamo che vogliono attaccare Israele, non solo su tutti i nostri fronti, noi attaccheremo la testa del serpente”.

In tal caso, si può essere sicuri che una lega terroristica islamista si formerà; l’Arabia Saudita non s’impegnerà militarmente, come pure gli Emirati, ma finanzieranno l’operazione, mentre tutti i Paesi che sostengono i jihadisti non si tireranno indietro, magari con la finta neutralità della Russia.

Il peggio, insomma, deve ancora arrivare. Altro che prospettive di pace.

L'Iran si muove nel covo dei serpenti e Israele è sempre più solo. Scrive Malgieri

In Medio Oriente non è soltanto Hamas il “nemico principale” di Israele. Dietro le quinte, ma non tanto, c’è l’Iran che nell’area agisce attraverso Hezbollah e che ha in Libano la propria roccaforte. Il commento di Gennaro Malgieri

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