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Ancora grane negli Stati Uniti per Huawei. La divisione del colosso cinese delle telecomunicazioni che ha sede nella Silicon Valley non sarebbe – secondo documenti ottenuti dal Wall Street Journal – nelle condizioni di inviare in patria alcune tecnologie.
Si tratterebbe di un nuovo problema per la società di Shenzhen, al centro delle tensioni commerciali e di sicurezza tra Washington e Pechino, che hanno portato a suo crescente boicottaggio e alla convinzione dell’intelligence Usa che le apparecchiature della compagnia possano costituire un veicolo di spionaggio della Cina sugli Stati Uniti.

LA DIVISIONE INCRIMINATA

La divisione coinvolta, scrive il Wsj, si chiama Futurewei Technologies e ha un centro di ricerca e sviluppo a Santa Clara (California) dove lavorano circa 700 unità tra ingegneri e scienziati. A questa realtà il dipartimento americano del Commercio non avrebbe rinnovato una licenza per effettuare esportazioni. E, come accaduto spesso di recente, stando ai file la giustificazione fornita dall’amministrazione Trump già lo scorso giugno è che Washington intende così tutelare la sua sicurezza nazionale. La mossa sarebbe stata contestata da Futurewei – che continua comunque le sue attività, anche perché la maggior parte dei suoi prodotti non richiede una licenza per lasciare il suolo americano -, ma nel frattempo le sue esportazioni sono state vietate.

TENSIONI CRESCENTI

Oltre alle questioni di sicurezza, resta in piedi anche un altro delicatissimo fronte che vede opposti Stati Uniti e Huawei. Si tratta dell’arresto in Canada (su richiesta degli Usa, che ne chiedono l’estradizione) di Meng Wanzhou, numero due e direttrice finanziaria della telco, nonché figlia del fondatore Ren Zhengfei, ritenuto vicinissimo ai vertici del partito comunista cinese. La donna è stata fermata con l’accusata di aver violato sanzioni Usa legate all’Iran e alla Siria, e documenti ottenuti e diffusi da Reuters sosterrebbero questa tesi, che viene comunque smentita categoricamente dalla società.

LA RAPPRESAGLIA

Ad ogni modo l’arresto di “Lady Huawei” avvenuto l’1 dicembre per mano del Canada non è sceso giù alla Cina, che ha risposto fermando oltre 10 cittadini canadesi tra i quali Michael Kovrig, un ex diplomatico, e Michael Spavor, un imprenditore con forti legami con la Corea del Nord. E sebbene questi arresti sarebbero ufficialmente frutto di timori per “la sicurezza nazionale”, gli addetti ai lavori evidenziano come resti il sospetto che siano una reazione alla detenzione di Meng.
Che Pechino viva questa situazione come un affronto lo ha chiarito nuovamente oggi l’ambasciatore cinese a Ottawa, Lu Shaye, che in una lettera pubblicata dal Hill Times ha accusato proprio il Canada di “egoismo occidentale” e “supremazia bianca” per la reazione all’arresto dei suoi cittadini, per i quali chiede un “doppio standard”.

LA RIFLESSIONE DI OSLO

Nel frattempo, però, il fronte anti tecnologia cinese si allarga. Dopo Stati Uniti, Australia, Giappone e Regno Unito, Huawei rischia di vedersi estromessa anche dal mercato tlc norvegese. Nel Paese, infatti, si è aperto un dibattito sulla possibilità di vietare all’azienda cinese la realizzazione e l’installazione di nuove infrastrutture per le reti 5G (una riflessione che Washington ha chiesto anche ai suoi più stretti alleati europei). “Condividiamo le stesse preoccupazioni di Usa e Regno e stiamo prendendo in considerazione le misure prese da altri paesi, vogliamo capire prima di iniziare a costruire la prossima rete di telecomunicazioni”, ha detto il ministro della Giustizia Tor Mikkel Wara secondo Abc-Cbn News. Il governo norvegese sta attualmente discutendo le misure per ridurre le potenziali vulnerabilità nel settore delle telecomunicazioni in vista dell’aggiornamento. L’operatore Telenor, controllato dallo Stato, ha 173 milioni di abbonati in 8 Paesi in Europa e Asia e ha firmato il suo primo importante contratto con Huawei nel 2009,. Telenor e la concorrente Telia attualmente utilizzano apparecchiature 4G Huawei in Norvegia e stanno testando quelle dell’azienda cinese nelle loro reti 5G sperimentali. Ma qualcosa potrebbe essere cambiato.

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