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La portavoce del dipartimento di Stato statunitense, Morgan Ortagus, ieri, durante una conferenza stampa ha stuzzicato la Cina su un argomento che Pechino considera delicatissimo e off limits: gli uiguri, la minoranza musulmana che vive nello Xinjiang, contro cui il governo centrale ha organizzato una campagna di sicurezza – perché ci sono stati episodi che hanno connesso elementi e gruppi alle principali sigle terroristiche – che però viene denunciata come una sorta di pulizia etnica moderna, fatta con centri di detenzione in cui si fa rieducazione culturale, e incarcerazioni che vengono compiuti tramite tecniche di polizia predittiva, sorveglianza intrusiva, impronte digitali genetiche, con cui sono stati creati enormi database razzisti. La Cina replica che sono invece centri in cui si fa formazione lavorativa e si aiutano i soggetti in difficoltà.

“ABUSI DEGRADANTI”: L’ALTRO VOLTO DEL DRAGONE

Ortagus dice che Pechino sta procedendo a un lavoro “arbitrario e ingiusto”, e definisce quello contro il milione di uiguri già incarcerati dal governo cinese un “abuso” contro minoranze etnica e religiose: ci sono “report diffusi su torture e maltrattamenti, crudeli, inumani e degradanti”, dice la portavoce toccando un nervo scoperto per la Cina. La questione è stata più volte sollevata negli ultimi due anni – da quando la stampa ha portato alla luce la situazione dei campi di rieducazione dello Xinjiang e le organizzazioni umanitarie hanno approfondito, analizzato, denunciato. Pechino non gradisce, considera certe considerazioni e certi report un’ingerenza negli affari interni cinesi, ha più volte reagito stizzita, minacciosa, perché fondamentalmente è un bubbone che mostra al mondo un volto diverso della Cina moderna e futuristica delle grandi infrastrutture, delle acrobazie geopolitiche vendute come ricerca di prosperità e armonia per tutti.

DIRITTI…

Washington sfrutta lo spazio. Il dipartimento di Stato ha più volte attaccato e denunciato Pechino per ciò che succede all’interno di quella provincia critica, dove da molto tempo il governo cinese ha da fare con la minoranza islamica di etnia turcofona, che subisce anche le contaminazioni jihadiste (gruppi interni compiono attentati, e diversi uiguri hanno scelto negli anni passati il jihad califfale). Foggy Bottom è l’agenzia dell’amministrazione americana che si occupa da sempre delle tematiche legate al rispetto dei diritti umani nel mondo: anche se con la presidenza Trump in alcuni casi è arretrata, ha limato il suo impegno intercontinentale, non è questo il caso.

… E INTERESSI STRATEGICI

Dietro alle posizioni forti sugli uiguri non sfugge la possibilità di un fine utilitaristico: le denunce sullo Xinjiang si inseriscono nel quadro del confronto globale tra Washington e Pechino. Diventano qualcosa di simile ai passaggi delle navi da guerra americane tra le acque contese del Mar Cinese Meridionale o lungo lo stretto di Taiwan per rivendicare il libero diritto di navigazione in quelle acque internazionali che Pechino considera invece sotto la propria sovranità. E il governo americano non si limita a dichiarazioni vocali: sta preparando sanzioni contro le società e le persone coinvolte nel piano governativo, e ha già preso il percorso congressuale una proposta di legislativa bipartisan che richiederebbe tra le altro cose di paralizzare società come la Hikvision che acquistano tecnologia occidentale e sono coinvolte nella produzione dei sistemi tecnologici che il governo cinese usa per la sorveglianza nello Xinjiang.

LE PRESSIONI DURANTE IL RAMADAN

Diritti e interessi all’interno dello stesso piano di confronto con la Cina. Con tempistiche perfette: in questi giorni il Washington Post ha scritto che le autorità cinesi stavano cercando di forzare – punendo chi si oppone – i cittadini uiguri all’interno dei campi di rieducazione a mangiare prima del tramonto, cosa che in questo periodo di Ramadan la religione vietata ai musulmani secondo il Ramzan. Si tratta di una delle varie pratiche con cui la Cina vuol far uscire dai campi uiguri riformati, trasformati, de-islamizzati, nuovi cinesi su cui sono state resettate le radici etniche e fede. Attività che stanno alla base delle dichiarazioni di Ortagus. Sempre il Washington Post, in un pezzo firmato dall’Editorial Board e uscito la scorsa settimana ha addirittura paragonato la situazione nello Xinjiang ai campi di sterminio nazisti.

IL QUADRO FAVOREVOLE PER TRUMP

“I moderni Jan Karski” (li chiama così la redazione del WaPo riferendosi al soldato polacco che rivelò all’allora presidente Roosevelt il dramma della persecuzione contro gli ebrei) sono quelli che stanno portando alla luce “l’indottrinamento forzato e la pulizia etnica di massa” che la Cina ha ordinato contro gli uiguri. In precedenza “abbiamo espresso dubbi” sulle azioni contro Huawei, dice il WaPo, ma per il ruolo svolto nel programma repressivo cinese, società come Hikvision “meritano una punizione definitiva”. L’amministrazione Trump in questa situazione può sfruttare la sponda di parti della stampa e della Comunità internazionale (come le organizzazioni per i diritti) che sono spesse critiche nei suoi confronti. Su Fox News, nello stesso giorno della conferenza stampa della sua portavoce, il segretario di Stato, Mike Pompeo, diceva: “La completa assenza di libertà politica all’interno di quel paese è qualcosa che il popolo americano deve continuare a vedere e vedere, perché ha un impatto sulle nostre relazioni economiche”. E qui il gioco di spin è invece rivolto verso la guerra commerciale Usa-Cina, che potrebbe non de-escalare facilmente.

La Cina viola i diritti degli uiguri. Lo Xinjinag nello scontro globale tra Washington e Pechino

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