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In Italia, leggi come il delitto d’onore e il matrimonio riparatore sono state abrogate dal Parlamento solo nel 1981. E una vera e propria legge sulla violenza sessuale è stata approvata in Italia solo nel 1996. Quello della violenza è un problema molto antico, che tocca le donne di tutto mondo. Una questione che solo in tempi relativamente recenti ha ricevuto una crescente attenzione tanto da parte dei mezzi di comunicazione quanto sul piano delle istituzioni internazionali. Ma senza molti risultati . E dobbiamo essere chiari,le ultime due sentenze italiane promulgate da tribunali diversi presentano gravi criticità e non ci sentiamo di dichiarare che le sentenze non si giudicano. Perchè condividiamo le parole del Ministro Bongiorno “Le leggi sono state abrogate ma per la cultura ancora ce ne vuole,una cultura che nel 2019 esiste ancora”. È mia ferma opinione che le due sentenze vanno impugnate facendo ricorso con motivazioni più che sostanziali in quanto si rileva un giudizio parziale del colpevole di delitto lesivo della norma ratificata dall’Italia in sede internazionale in base alla Convenzione di Istambul a sfavore della vittima.

La Convenzione riconosce la violenza sulle donne come una violazione dei diritti umani e una forma di discriminazione. Ne consegue che gli Stati sono ritenuti responsabili se non garantiscono risposte adeguate per prevenire tale violenza e garantire che la violenza contro le donne sia penalizzata e debitamente punita.In Italia e nei paesi della UE il femminicidio non costituisce uno specifico reato. Nel maggio 2017 il gruppo di esperti di cui si avvale l’UNODC (United Nations Office on Drugs and Crime) per la definizione e l’implementazione della Classificazione Internazionale dei reati, di cui è parte anche l’Istat, ha riconosciuto il femminicidio come ‘‘un omicidio di una donna compiuto nell’ambito familiare, ovvero dal partner, da un ex partner, o da un parente’’.In Italia solo l’anno passato 109 omicidi, quasi 3 su 4, commessi in ambito familiare 59 donne sono state uccise dal partner 17 donne sono state uccise da un ex partner 33 donne sono state uccise da un parente. La violenza nel corso della vita : 6 milioni 788 mila donne fra i 16 e i 70 anni hanno subito violenza fisica o sessuale, il 31,5%. E di queste 4 milioni 353 mila donne hanno subito violenza fisica, il 20,2% ;4 milioni 520 mila donne hanno subito violenza sessuale (realizzata o tentata), il 21% ;1 milione 157 mila donne hanno subìto stupri o tentati stupri, il 5,4%; 652 mila stupri 746 mila tentati stupri. La violenza da partner/ex è un fenomeno molto diffuso : 2 milioni 800 mila donne fra i 16 e i 70 anni hanno subito violenza da partner attuali o ex, il 13,6%. 855 mila da partner attuale, il 5,2% 2 milioni 44 mila da ex partner, il 18,9%. Partner ed ex partner sono gli autori di quasi il 63 per cento degli stupri (62,7%) e più in generale di oltre il 90 per cento (90,6%) dei rapporti sessuali indesiderati vissuti dalla donna come violenza. Il 68,5% delle donne che avevano un partner violento in passato lo ha lasciato a causa della violenza subita.La violenza contro le giovanissime è un fenomeno in aumento. Gli autori sono parenti e familiari (19,5%) amici di famiglia (11,4%) compagni di scuola (8%) amici (7,4%) conoscenti (23,8%) In quasi l’80% dei casi si tratta di persone conosciute. Il 10,6% delle donne dichiara di aver subìto una qualche forma di violenza sessuale prima dei 16 anni.La violenza assistita dai figli è anch’essa in aumento. La percentuale dei figli che hanno assistito a episodi di violenza sulla propria madre è pari al 65,2% nel 2014 ed esiste una relazione tra vittimizzazione vissuta/assistita da piccoli e comportamento violento.La violenza è un fenomeno grave, diffuso e trasversale tra i diversi status sociali. Negli ultimi cinque anni si osservano segnali di attenzione rispetto all’incidenza del fenomeno e una maggiore consapevolezza da parte delle donne, soprattutto giovani. Tuttavia lo zoccolo duro della violenza non è intaccato ed è in crescita la violenza assistita dai figli. Le donne spesso non parlano con nessuno della violenza subita e poche denunciano alle forze dell’ordine.

Sul lavoro poi la situazione è molto delicata perché raramente viene denunciata .1 milione 403 mila donne fra i 15 e i 65 anni hanno subito molestie fisiche o ricatti sessuali sul posto di lavoro nel corso della loro vita lavorativa e 1 milione 173 mila donne fra i 15 e i 65 anni hanno subito ricatti sessuali sul posto di lavoro nel corso della loro vita lavorativa: il 33,8% delle donne ha cambiato lavoro volontariamente/rinunciato alla carriera a seguito del ricatto sessuale. Nel 10,9% dei casi la donna è stata licenziata o messa in cassa integrazione o non è stata assunta, una quota esigua (1,6%) ha avuto un trasferimento di ufficio o nessuna promozione o ha avuto penalizzazioni sul lavoro.

Nel 20% dei casi non vi è stato alcun esito  Ma a domanda se ci sono stati problemi sul lavoro una elevata quota di non risposte (24,2%).Il rapporto Combating violence against women dell’Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa (OSCE), pubblicato nel novembre 2016 ha prodotto dati interessanti. Al netto della mancanza di dati per molti paesi europei, i numeri assoluti del femminicidio in Europa ,i casi più numerosi si registrano in Italia, Germania, Regno Unito.Una considerazione che emerge dai dati disponibili a livello europeo sui casi di omicidio intenzionale mette in luce un andamento difforme per i due generi: mentre le vittime di sesso maschile sono in calo significativo negli ultimi anni, il numero di donne uccise in Europa, non necessariamente per mano del partner e di un membro della famiglia rimane costante, con un lieve incremento dal 2013 al 2015. Ma quali sono gli strumenti giuridici per combattere il femminicidio? I primi passi sul tema sono stati fatti nel 1979, con la Convenzione delle Nazioni Unite sull’eliminazione di ogni forma di discriminazione ai danni della donna (CEDAW). È seguita l’adozione, nel 1995, della Piattaforma d’Azione di Pechino. Con un salto in avanti di 16 anni si è giunti alla Convenzione di Istanbul sulla prevenzione e la lotta alla violenza contro le donne e la violenza domestica, approvata dal Consiglio d’Europa nel 2011.

Finora, 14 paesi europei vi hanno aderito e anche l’Unione Europea è in procinto di farlo: il Parlamento ha espresso il proprio parere positivo a settembre 2017, sollevando riserve sulle limitazioni poste alla cooperazione giudiziaria in materia penale nei casi di violenza di genere. Ora la parola definitiva spetta al Consiglio dell’Unione Europea. In riferimento alle strategie indicate ai paesi firmatari della Convenzione di Istanbul si parla spesso delle “3 P” : Prevenzione (e quindi educazione), Protezione (risposta efficace alle denunce di chi subisce violenza di genere) e Punizione degli autori delle violazioni, che diventano 4 se si include il Potenziamento dei diritti delle donne (Empowerment) inteso come contrasto ed eliminazione della violenza contro le donne e della violenza domestica.In alcuni paesi europei tra i quali anche l’Italia, così come in ambito europeo, è in corso un dibattito serrato su questo tema. L’incontro annuale sui diritti fondamentali nell’Unione Europea organizzato dalla Commissione Europea, che si è tenuto in novembre a Bruxelles, ha avuto come tema proprio i diritti delle donne. Nel corso del vertice la Commissaria per la giustizia, i consumatori e la parità di genere, la commissaria ha posto l’attenzione sui divari retributivi di genere . “Nei Paesi dell’Unione europea – ha detto la Commissaria – le donne guadagnano in media il 16% in meno rispetto ai loro colleghi uomini. Questa ingiustizia è inaccettabile nelle nostre società. Il divario salariale va colmato, perché l’indipendenza economica delle donne è la loro arma migliore per difendersi dalle violenze”. La Commissione sta quindi ora valutando un “Piano d’Azione” da presentare entro la fine del suo mandato (2019) per porre fine al divario salariale tra uomini e donne. Un passo ulteriore verso una società più egualitaria.

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