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La presidente del Consiglio Giorgia Meloni punta a rafforzare il legame strategico con gli Stati Uniti, lavorando anche a nome di Bruxelles, mentre alcuni partner europei guardano a Pechino come forma di fuga dal peso delle tariffe — che Donald Trump ha recentemente azionato nell’ottica della sua visione America First, e poi messo parzialmente in pausa.

Politica estera e commercio sono ormai una cosa sola, e la leader italiana si presenta a Washington con una posizione netta: l’alleanza transatlantica è il pilastro della visione internazionale di Roma, che sulla base di questo vuole lavorare per gestire le politiche commerciali dell’amministrazione americana, rassicurando che scatti incontrollati con la Cina sono frutto di reazioni scomposte e non una traiettoria strategica europea.

Roma intende giocare un ruolo di equilibrio: evitare sì strappi con Pechino, ma senza incertezze sul posizionamento di lungo periodo. È una carta politica che Meloni porta al bilaterale con Trump, tanto in chiave italiana quanto europea, con l’obiettivo di rafforzare il dialogo e ottenere garanzie su dossier economici, commerciali e di sicurezza.

Secondo Antonio Tajani, ministro degli Esteri con in mano anche Commercio Estero, la distinzione è netta. Parlando anche della visita di Meloni durante un’intervista pubblicata sabato 12 aprile dal Corriere della Sera, ha spiegato che “abbiamo un rapporto completamente diverso con gli Stati Uniti”, perché “l’alleanza con gli Usa è una questione di valori, di democrazia e di Stato di diritto”. Da lì ha poi chiarito che la Cina resta per l’Italia un interlocutore commerciale, sottolineando che “è un partner commerciale con il quale vogliamo continuare ad avere rapporti economici proficui”.

La precisazione arriva quando Tajani evidenzia come politica estera e commercio sono ormai una cosa sola ed è il riflesso di un’idea di diplomazia economica che serve a consolidare la posizione internazionale dell’Italia in uno scenario globale multipolare, sempre più segnato dalla competizione per i mercati e le filiere produttive.

Proprio in questa chiave si inserisce l’attivismo diplomatico del governo: Tajani ha appena fatto tappa in India e sta viaggiando verso il Giappone. Al rientro toccherà invece prima l’Egitto (a fine aprile) e successivamente il Messico a maggio. A giugno, l’Italia ospiterà a Brescia un forum economico interamente dedicato all’India. L’obiettivo, ha spiegato il ministro, è portare avanti un’“operazione di sistema”, che coinvolga settori come l’automotive, la moda, l’audiovisivo e l’intrattenimento, fino a creare una filiera integrata che colleghi l’Indo-Mediterraneo al porto di Trieste — che interessa anche gli Usa perché compete con la Belt & Road Initiative.

L’idea è quella di ampliare la rete di rapporti economici senza abbandonare i partner tradizionali. Come chiarito da Tajani, l’Italia non intende lasciare i propri mercati negli Stati Uniti o in Europa, ma contemporaneamente punta a rafforzare la propria presenza in altri contesti, semplificando le procedure per i visti, tagliando la burocrazia e sostenendo settori chiave come turismo, cultura, difesa e tecnologia.

L’aspetto strategico del posizionamento italiano sarà centrale nel vertice Meloni-Trump. Nell’ottica del presidente americano c’è di avere degli interlocutori che comprendano le sue priorità — e come evidenzia il ministro di Economia e Finanzia Giancarlo Giorgetti ora è chiaro che la priorità di Trump sia contenere la Cina. Washington vuole che gli alleati si muovano anche per essere in qualche modo allineati. In quest’ottica, gli interessi italiani verso Oriente, in Nordafrica o in America Latina sono integrabili con quello statunitense, perché entrambi concorrono con la penetrazione di Pechino.

Meloni cerca dunque di rappresentare un Paese politicamente solido (altra prerogativa dell’attenzione statunitense), che si muove sulla base di proposte concrete e con una visione europea realistica.

È una linea coerente con il concetto di de-risking promosso dalla Commissione Europea di Ursula von der Leyen, che l’Italia sostiene e vorrebbe in tempi brevi portare al tavolo con gli Usa. È d’altronde il rischio rappresentato dalla Cina la matrice delle ragioni che hanno portato il governo Meloni ad abbandonare la Via della Seta. Mossa ancora sotto la lente Usa come dimostrano le osservazioni del senatore repubblicano Bill Hagerty, che, durante l’audizione del futuro ambasciate statunitense a Roma, Tilman Fertitta, si è detto preoccupato dalla strategic partnership tra Roma e Pechino. L’iniziativa di epoca berlusconiana, lo scorso anno ha compiuto venti anni ed è stata usata da Roma e Pechino per evitare che l’uscita italiana dalla Bri fosse troppo rumorosa e brusca. Fertitta ha risposto che monitorerà attentamente il dossier, che sarà il grande argomento dell’incontro Meloni-Trump — probabilmente corredato da conversazioni sull’Indo-Mediterraneo e anche sui colloqui Iran-Usa (ospitati a Roma nel fine settimana).

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