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“È stato un lungo incontro, un lungo scambio di informazioni. Gli ho espresso la posizione del governo. Noi vogliamo il cessate il fuoco e confidiamo nella via politica come unica soluzione”. Racconta così il premier italiano Giuseppe Conte le sue due ore di incontro con, Khalifa Haftar, oggi a Roma, in anticipo su una tabella di marcia che dovrebbe portare il signore della guerra dell’Est libico a breve anche a Parigi.

E nel pomeriggio l’ambasciatore d’Italia in Libia, Giuseppe Buccino, ha incontrato il ministro dell’Interno libico, Fathi Bashaga. Incontro con cui ha ribadito “l’appoggio del governo italiano al governo di Accordo nazionale” del premier Fayez al-Sarraj. E’ l’unico esecutivo “legittimo riconosciuto a livello internazionale”. Lo scrive la pagina Facebook del ministero. Buccino “ha affermato che la posizione italiana è chiara a proposito dell’assenza di sostegno al comportamento” del generale Khalifa “Haftar e al suo attacco contro Tripoli”, scrive ancora il post.

LA FASE CRITICA

Il momento è delicatissimo per la Libia: Conte, come la quasi totalità della Comunità internazionale, chiede un immediato cessate il fuoco attorno a Tripoli dove si combatte a causa della campagna militare lanciata oltre un mese fa da Haftar nel tentativo di conquistare la capitale e intestarsi rapidamente la guida autoritaria del paese – azione che però è in stallo, la mobilitazione delle milizie che fanno da forze di sicurezza per il Governo di accordo nazionale onusiano (Gna) guidato da Fayez Serraj ha bloccato la cavalcata ipotizzata dal generalissimo della Cirenaica, col solo risultato che le vittime aumentano continuamente.

“Ho espresso la preoccupazione dell’Italia”, ha detto Conte. Deporre le armi, ha spiegato il premier italiano, è l’unica strada da percorrere prima di riprendere “la via politica” per risolvere la crisi. In un quadro tutto bloccato, il tentativo di Roma (e non solo) è quello di portare i leader dei due schieramenti a una soluzione intanto sul deconflincting. Perché quello è la più stringente delle necessità, che ha diversi problemi.

TUTTI VOGLIONO UNA VITTORIA

Non è chiaro, per esempio, quanto a questo punto Serraj abbia presa sulle forze della Tripolitania che davanti al flop dell’offensiva lampo che avrebbe dovuto lasciare i tripolini senza fiato, storditi, ora chiedono vendetta. Vogliono finire il lavoro e andare fino in fondo, ricacciando Haftar in Cirenaica, obliterando anche tutti i guadagni territoriali che l’autoproclamato Feldmaresciallo ha ottenuto in questi ultimi mesi sia nell’ovest che nel centro-sud libico. Oggi, il portavoce dell’operazione “Vulcano di Rabbia” del Gna ha detto che la situazione sul terreno “è sostanzialmente migliorata” rivendicando nuovi guadagni territoriali.

“Vulcano di Rabbia” è il nome dal senso programmatico della controffensiva che ha raggruppato i miliziani tripoli e quelli di Misurata intervenuti non tanto per difendere Serraj quanto per respingere Haftar. Quest’ultimo, però, dal canto suo non ha certo possibilità di accettare una ritirata completa. Sarebbe un fallimento totale, anche agli occhi di sponsor esterni come Egitto, Emirati Arabi e Arabia Saudita che vedono in lui il vettore con cui estendere sul paese le proprie influenze regionali (all’interno della competizione intra-sunnita con Turchia e Qatar).

TETRIS DIPLOMATICO

Il lavorio diplomatico di nazioni come l’Italia, che mantengono sulla Libia la proiezione di un interesse strategico ed economico, a questo punto è quello di cercare un’improbabile quadra. La scorsa settimana era toccato a Serraj fare il giro delle capitali europee più influenti, chiedendo sostegno contro Haftar. Ora è il Feldmaresciallo che cerca di far valere la sua posizione, indebolita dall’aggressione che ha prodotto circa 500 morti e migliaia di feriti e sfollati, sotto continue accuse di crimini di guerra.

Oggi, prima dell’arrivo di Haftar, Conte ha ricevuto a Palazzo Chigi anche l’ambasciatore statunitense, Lewis Eisenberg. Senza altre informazioni, potremmo definirla una coincidenza: gli Stati Uniti sulla Libia hanno un atteggiamento più distaccato sulla Libia, sostanzialmente allineato con la posizione Onu, che però ha avuto uno scossone quando tre settimane fa si è saputo che Donald Trump aveva avuto una telefonata diretta con Haftar. Circostanza che era stata letta come un cambio di rotta, un allineamento di Trump con le visioni di partner americani regionali più propensi alla soluzione libica tramite l’uomo forte. La posizione della Casa Bianca era stata poi normalizzata da dipartimento di Stato, Pentagono e Consiglio di Sicurezza nazionale.

Ora è il turno del tour diplomatico di Haftar che vede Conte (e perde posizioni sul terreno)

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