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Europa, se ci sei batti un colpo. Paolo Mieli suona oggi sulla prima pagina del Corriere della Sera un campanello d’allarme a Bruxelles: non si può glissare sull’aggressione russa alle navi ucraine nel Mar D’Azov. Perché, oltre ogni considerazione politica sul presidente ucraino Petro Poroschenko, che, ricorda Mieli, non è certo il campione della democrazia né gode di buona salute nei sondaggi in vista delle elezioni il prossimo anno, di questo si tratta: un’aperta violazione di qualsiasi norma di diritto internazionale. Lo stesso Edward Luttwak, stratega americano con un passato al Pentagono non proprio clemente con il governo di Kiev, riassume così l’accaduto ai nostri microfoni: “Hanno sparato su due cannoniere in manutenzione, senza munizioni a bordo”. Che fosse provocatorio o meno il loro passaggio, le due navi ucraine partite da Berdyansk in direzione del porto di Mariupol avevano tutto il diritto di attraversare lo stretto di Kerch. L’aggressione della portacontainer russa, con tanto di militari feriti e sequestrati, segna un non plus ultra nelle acque che bagnano la Crimea.

Di fronte a un’aperta aggressione, lo è per la maggior parte degli esperti militari, ci si aspettava una reazione compatta, definitiva dell’Unione Europea. Che invece ha preferito confermare al mondo di non avere una politica estera comune né tantomeno un dialogo interno, limitandosi a scarne quanto inutili dichiarazioni formali (“L’Unione continua a seguire da vicino la situazione ed è determinata ad agire in modo appropriato in accordo con i partner”). Questo mentre il tanto vituperato Donald Trump annullava il bilaterale con Vladimir Putin previsto per il G20 di Buenos Aires. I più maliziosi, spiega Mieli, avranno scorto nella chiusura del presidente americano un tentativo di adombrare per un momento il Russiagate, pronto a entrare nella fase 2.0 dopo una parziale ammissione di colpa del suo avvocato Michael Cohen. È sotto gli occhi di tutti però che la nuova amministrazione Usa non ha fatto alcun passo indietro sulla questione della Crimea, chiedendo anzi a gran voce agli alleati europei, tramite il suo inviato speciale Kurt Volker, di costringere Mosca al rispetto degli accordi di Minsk.

Da parte sua, l’Europa si è limitata a dividersi appassionatamente sul tema sanzioni sí, sanzioni no (al momento il no va per la maggiore, anche grazie a un aperto e inedito supporto del governo italiano alla rimozione delle misure restrittive contro Mosca). Ha voltato la testa dall’altra parte, scrive lo storico sul Corriere, facendo “apparire quella ucraina come una questione che si faceva di giorno in giorno minore. Tanto sapeva che Poroschenko sarebbe stato costretto in ogni caso a ringraziarla”.

Il risultato è che, con buona pace di tanti pamphlet firmati Ue su una Difesa comune europea e su una non meglio precisata terza via in politica estera, alla sicurezza dei confini e al rispetto del diritto internazionale alla frontiera Est ci devono pensare gli Stati Uniti.

E pensare che l’Ucraina chiede da anni all’Europa una mano, anche finanziaria, tanto per la sua sicurezza quanto per attuare le riforme in un Paese che deve fare i conti con un’elevatissima corruzione nella PA. “George Soros notava nel 2015 che l’ammontare del denaro destinato alla Grecia era all’epoca almeno dieci volte più grande di quello speso per l’Ucraina” ricorda Mieli. Ormai gli ucraini ci hanno fatto l’abitudine. “Siamo sorpresi dall’indifferenza con cui l’Ue osserva queste violazioni del diritto da parte dell’esercito russo, ci aspettiamo più supporto dagli alleati europei” confidava a Formiche.net poco tempo fa S.K., membro della Verkhovna Rada a capo di una delegazione parlamentare giunta in Italia per imparare (sic!) la best practice della nostra Pubblica amministrazione, “prese di posizione come quelle del governo italiano a favore dell’annessione della Crimea ci mettono in difficoltà, speriamo che lo capiscano”. Sono passati due mesi, non è cambiata una virgola.

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