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Chiuso un fronte se ne apre un altro. Le scaramucce del governo gialloverde non sono confinate agli affari, per così dire, domestici. Anche la politica estera rischia di divenire miccia di un nuovo scontro tutto interno alla maggioranza. Ad accenderla questa volta sono i Cinque Stelle, o almeno una parte del Movimento, pronta a presentare martedì prossimo alla Commissione Affari Esteri della Camera una risoluzione sulla guerra in Yemen che chiede un embargo europeo contro l’Arabia Saudita e i Paesi della coalizione. Una posizione che da mesi trova il favore del Partito democratico e in Commissione può dar vita a un’inedita maggioranza Pd-M5S contro la Lega.

La prima firma è della deputata pentastellata Sabrina De Carlo, seguita da altri quattordici colleghi deputati (Ehm, Cabras, Cappellani, Carelli, Colletti, Del Grosso, Di Stasio, Emiliozzi, Grande, Olgiati, Perconti, Romaniello, Siragusa, Suriano). La risoluzione, presentata questo 27 novembre alla Camera, parte dai numeri da capogiro sul drammatico conflitto in Yemen. La cronologia è nota. Nel 2015 le milizie ribelli Houthi hanno preso la capitale Sana’a deponendo Abd Rabbih Mansur Hadi, il presidente dell’unico governo riconosciuto dalla comunità internazionale. Poi l’intervento della coalizione internazionale guidata dall’Arabia Saudita (Kuwait, Bahrain, Emirati Arabi Uniti, Giordania, Marocco, Senegal, ma in un primo momento anche Egitto, Qatar, Sudan) e inizialmente supportata da Stati Uniti, Regno Unito, Canada, Francia e Turchia. I bombardamenti su città e villaggi, gli assedi e i ricatti dei ribelli consegnano un bilancio (provvisorio) spaventoso: più di quindicimila yemeniti uccisi, senza contare i 18 milioni che soffrono la fame, i 400.000 bambini (dati Save The Children) malnutriti, l’epidemia di colera.

Fatto un primo quadro, ecco le proposte della squadra pentastellata. A richieste oggettivamente non divisive, come sostenere “l’iniziativa dell’inviato speciale delle Nazioni Unite per lo Yemen affinché si svolgano colloqui negoziali tra le parti entro novembre 2018 in un Paese terzo”, chiedere “l’immediato cessate il fuoco e l’interruzione di ogni iniziativa militare in Yemen”, o ancora avviare un’azione umanitaria sotto l’egida dell’Onu, se ne sommano altre che, per forma e contenuto, difficilmente passeranno senza colpo ferire. Nel testo si avanza infatti la proposta a dir poco ambiziosa di un embargo dell’intera Unione Europa nei confronti di “tutti i Paesi coinvolti nella guerra in Yemen”. La viabilità di un simile blocco europeo dell’export militare ai Paesi sauditi è assai discutibile. Prova ne è il drammatico caso Kashoggi che ha colpito l’immagine del primo azionista della coalizione, l’Arabia Saudita. Salvo legittime proteste formali, non c’è stata una risposta unitaria: fatta eccezione per Danimarca e Germania, nessun governo ha infatti sospeso le forniture a Rihad. La proposta prosegue nel dettaglio, invitando il governo a “impedire, con tutti gli strumenti disponibili, il transito di armi e materiale bellico destinati al conflitto in Yemen in porti, aeroporti, stazioni ferroviarie, acque territoriali e spazio aereo italiani, da qualsiasi parte essi provengano”. E infine ad applicare alla lettera le disposizioni della l. 1990/185 sull’esportazione di armi e così anche la posizione comune Pesc 2008/944.

L’ombra di un’empasse di governo non è poi così sfumata. Perché se è vero che lo stesso ministro degli Esteri Enzo Moavero Milanesi (è alla Farnesina, non alla Difesa, che risiede l’Unità per le autorizzazioni dei materiali di armamento-Uama) rimane possibilista su una revisione dell’export di armi all’Arabia Saudita, la presa di posizione massimalista dei Cinque Stelle, ben rappresentata da altri esponenti del Movimento come Alessandro Di Battista, Gianluca Ferrara e Fabio Massimo Castaldo, porterebbe l’Italia a un allineamento all’asse Russia-Iran-Cina incompatibile non solo con la strategia europea ma anche con la storica alleanza che lega lo Stivale agli Stati Uniti. Per come è formulata, sembra che la risoluzione cerchi lo scontro con l’alleato di governo, piuttosto che evitarlo.

Sullo scoglio della 185/1990 già si erano scontrati i due sottosegretari agli Esteri da sempre sensibili al Medio Oriente, il grillino Manlio Di Stefano e il leghista Guglielmo Picchi. “Se la legge 185/90 è rispettata, ma le bombe italiane continuano a cadere in Yemen, evidentemente siamo tutti in buona fede, ma la legge o la sua applicazione non vanno” spiegava Di Stefano solo due mesi fa. In tutta risposta Picchi gli faceva notare che “Il processo autorizzativo italiano per l’export di materiali di difesa con l’Arabia Saudita è rigoroso”, prima di ammonire: “Se cambia l’indirizzo politico, il governo sia consapevole di ogni conseguenza negativa occupazionale e commerciale”.

Un assist alla risoluzione grillina potrebbe arrivare dal Partito Democratico. È vero, i governi di centrosinistra hanno mantenuto ottimi rapporti con i sauditi senza significative flessioni dell’export. Tuttavia c’è una parte dei dem che da mesi punzecchia la maggioranza sul tema Yemen, facendosi avanti con proposte non dissimili da quella firmata dall’on. De Carlo. È di questa sponda la deputata Lia Quartapelle, protagonista di una recentissima interrogazione in Commissione Esteri in cui ha calorosamente invitato i gialloverdi a “rivedere […] i termini delle forniture di materiali di armamento” alla coalizione intervenuta in Yemen. Dopo la scelta di Roberto Fico di interrompere i rapporti fra il Parlamento italiano e quello egiziano per gli sviluppi del caso Regeni, applauditissima dalle opposizioni, molto meno dal Carroccio, il fronte yemenita potrebbe, sia pure in via temporanea, creare una nuova maggioranza Pd-M5S.

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