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Venerdì 9 novembre: una signora di 59 anni, casalinga, con le sporte della spesa, scorge il Ministro dell’Interno, Matteo Salvini, che entra all’Università Lumsa a Roma per partecipare ad un convegno. La donna, dall’altra parte della strada, poggia in terra la spesa e comincia a contestarlo: fischia e urla “ridicolo”, “buffone”. Arrivano alcuni agenti di polizia che – come si vede chiaramente dal video pubblicato su alcuni siti – le impediscono fisicamente di proseguire la sua protesta e la identificano. Giovedì 22 novembre: il Ministro dell’Interno parla a Tortolì, in Ogliastra, in occasione della apertura di una sede di partito davanti alla folla delle grandi occasioni. Marcella Lepori, ex sindaco, e Katia Cerulli, entrambe avvocate, posizionate a 50 metri dal luogo del comizio protestano, con un piccolo gruppo di persone, contro la presenza del leader leghista intonando “Bella ciao”. Alcuni agenti di polizia si qualificano e identificano i contestatori, fotografandoli con il cellulare. Due episodi isolati? Probabilmente. Ma assai preoccupanti. Va detto sin d’ora, a scanso di possibili equivoci: è stata assolutamente censurabile la contestazione contro Matteo Salvini a San Lorenzo a Roma lo scorso 24 ottobre, quando si è cercato di impedirgli fisicamente di recarsi sul luogo della morte di Desirée Mariottini. In quella occasione era lo Stato, nella persona del Ministro dell’Interno, a portare la sua presenza sul luogo in cui una ragazzina aveva perso la vita. Allo stesso tempo, tuttavia, appare davvero poco comprensibile che agenti delle forze dell’ordine, che hanno, naturalmente, il delicatissimo compito di tutelare l’incolumità del Ministro, intervengano in occasione di manifestazioni di democratico dissenso, in cui sono protagoniste, peraltro, delle donne. Se nel quartiere di San Lorenzo a Roma si era in presenza di possibili problemi di protezione dell’incolumità fisica del Ministro, nei due casi ricordati non si registrava alcun pericolo concreto. Si è trattato, più semplicemente, di contestazioni di natura politica, esercitate financo a distanza di sicurezza. Se il quadro è questo, non può che censurarsi sia l’intervento della polizia per impedire la contestazione, di natura non violenta e democratica, sia la successiva identificazione. Si può, naturalmente, essere d’accordo o meno con la protesta in sé. E, magari, non approvare la natura, l’occasione, e le modalità della protesta stessa: vivaddio! Ma è del tutto inaccettabile impedire a cittadini, in possesso del pieno dei loro diritti civili e politici, di contestare un esponente politico, a qualsiasi forza politico-parlamentare ella o egli appartenga. Le forze dell’ordine fanno il loro dovere, è evidente: sarebbe, nondimeno, opportuno capire quali siano le regole di ingaggio cui si attengono coloro che hanno il compito, di grande responsabilità, di tutelare le persone loro affidate e, eventualmente, modificarle. Le aule giudiziarie possono, se del caso, stabilire se la contestazione di turno possa configurare un qualche reato. Ma intervenire quando si esprime, liberamente e a viso scoperto, il democratico dissenso e la libera critica contro un rappresentante delle Istituzioni, beni di tutti i cittadini, non è solamente e palesemente contro la Costituzione Italiana. È contro il normale buon senso.

La preziosa tutela del dissenso

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