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Raccogliere “fiori” in terre straniere per fare “il miele” in Cina. È questa la descrizione, molto orientale, di una strategia con la quale Pechino starebbe disseminando da anni, per gli atenei occidentali, migliaia di studenti e ricercatori che poi rientrano nella madrepatria per trasferire a beneficio dell’industria di Stato – sovente nell’ambito della difesa, ma non solo – il meglio delle competenze e, soprattutto, delle conoscenze acquisite.

PREOCCUPAZIONE IN CRESCITA

Il problema preoccupa non poco Washington, che lo ritiene sempre più pressante e pericoloso, tanto da aver previsto, nell’ambito della nuova politica di dazi ai prodotti cinesi, anche un limite ai visti concessi a studenti del gigante asiatico. Ma dal fenomeno non sono esenti l’Europa e i suoi numerosi centri all’avanguardia. Il Dragone, racconta Bloomberg, ha avviato da molti anni, dieci per la precisione, uno specifico programma denominato “Thousand talents” studiato appositamente per richiamare i suoi studenti che si sono formati fuori dai confini cinesi. Un richiamo che, secondo i servizi d’intelligence di Usa e Regno Unito – i due Paesi più interessati da questa “invasione” a tempo – celerebbe l’intento di copiare e acquisire tecnologia.

I RILIEVI DELLE AUTORITÀ AMERICANE

Quello che è più di un timore è stato messo nero su bianco in un’analisi non classificata del National Intelligence Council, secondo cui l’obiettivo reale del programma, ritenuto “di punta” oltre che con molta probabilità “il più esteso in termini di finanziamenti”, sarebbe proprio quello di “facilitare il trasferimento lecito e illecito di tecnologia, proprietà intellettuale e know-how degli Stati Uniti” in territorio di Pechino. Dopo numerosi allarmi riservati (e pubblici) del Pentagono e dei servizi segreti americani, la questione è stata anche discussa nei mesi scorsi dalla Commissione Forze Armate della Camera e affrontata in un ulteriore studio della Casa Bianca incentrato proprio sull’acquisizione di proprietà intellettuale statunitense da parte della Cina.

NEL REGNO UNITO

Ma del tema si inizia a prendere coscienza anche nel Regno Unito dove, scrive oggi il Sunday Times, solo l’anno scorso c’erano più di 95mila studenti cinesi.
Tra questi e altri hanno trovato spazio i circa 500 scienziati militari cinesi che hanno trascorso del tempo negli atenei britannici negli ultimi dieci anni, lavorando a progetti delicatissimi come le ricerche sul grafene, un materiale che rivoluzionerà l’industria bellica, ma anche a quelle su missili o velivoli.
Tutti poi farebbero ritorno al National University of Defense Technology (Nudt), una branca del People’s Liberation Army, all’interno della quale metterebbero a frutto per fini nazionali quanto scoperto con i propri colleghi occidentali.
Gli atenei privati di Londra, spesso in cima alle classifiche mondiali ma anche con costante bisogno di risorse (complicazione che si acuirà con la Brexit) hanno accolto negli ultimi anni a braccia aperte i nuovi ricchi del Dragone, disposti a spendere diverse migliaia di sterline per dare ai propri figli una formazione di eccellenza. Lo scambio è andato anche oltre, con l’apertura di diverse filiali delle università britanniche più prestigiose in Cina, ma anche con l’arrivo in Uk – a un tiro di schioppo da Oxford – di una scuola aziendale per studenti internazionali dell’Università di Pechino, rigidamente controllata dai vertici del Partito Comunista che governa senza rivali il gigante asiatico.

Studenti cinesi a caccia di tecnologia in Occidente. Gli allarmi Usa e Uk

Raccogliere "fiori" in terre straniere per fare "il miele" in Cina. È questa la descrizione, molto orientale, di una strategia con la quale Pechino starebbe disseminando da anni, per gli atenei occidentali, migliaia di studenti e ricercatori che poi rientrano nella madrepatria per trasferire a beneficio dell'industria di Stato - sovente nell'ambito della difesa, ma non solo - il meglio…

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