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Spesso, quando si parla della sesta generazione di sistemi aerei da combattimento, si tende a focalizzare l’attenzione esclusivamente sui nuovi caccia che andranno a popolare i cieli. Caccia, questi, che puntano a disporre di capacità finora inedite, come il volo sub-orbitale, autonomia operativa estesa, armi a energia diretta e capacità di guerra elettronica. Tuttavia, non sono solo i nuovi equipaggiamenti a qualificare questi sistemi come “di sesta generazione”. Fermo restando che non esiste un requisito tecnico specifico per distinguere una generazione di velivoli dall’altra, la vera rivoluzione della sesta generazione consisterà nell’impiego di velivoli a pilotaggio remoto insieme ai caccia pilotati da esseri umani.

Questi droni, detti gregari (loyal wingman, in inglese), rappresentano il futuro delle flotte aeree di grandi dimensioni. Non solo perché più economici e producibili su vasta scala, ma anche perché le loro diverse funzioni (Isr, supporto di fuoco, guerra elettronica, rifornimento in volo) permetteranno a un singolo operatore umano di coordinare interi sciami di droni gregari dal cockpit del proprio caccia. In questa prospettiva, Lockheed Martin ha annunciato di aver condotto con successo una serie di test volti a testare tali capacità, sfruttando gli attuali velivoli di quinta generazione. Gli F-35 Lightning II e gli F-22 Raptor sarebbero infatti ora perfettamente in grado di operare e condurre operazioni congiunte con velivoli gregari a pilotaggio remoto (crewed-uncrewed teaming). L’obiettivo di questi test è duplice: da un lato c’è la volontà di sperimentare tecnologie innovative sfruttando quanto c’è di già disponibile (F-35 e F-22), dall’altro quello di procedere a integrare capacità pensate per la sesta generazione già nei velivoli di quinta, anche in considerazione dei molteplici dubbi circa le tempistiche di sviluppo e produzione dei venturi caccia avanzati.

L’IA rivoluziona anche il combattimento aereo

L’idea del crewed-uncrewed teaming non è nuova. Da oltre un decennio le più importanti aziende della Difesa Usa stanno lavorando a prototipi in grado di operare insieme ai caccia, tuttavia finora alcuni impedimenti tecnici hanno impedito un reale salto di qualità. In particolare, i problemi tecnici hanno riguardato due aspetti specifici: il mantenimento delle comunicazioni e la gestione dello sciame da parte del pilota nella “nave madre”. Anche potendo disporre di velivoli gregari, il coordinamento e l’assegnazione di task allo sciame rappresentano un carico di lavoro eccessivo per il pilota umano, il quale, concentrato anche sul pilotaggio e l’impiego dei sistemi d’arma del proprio aereo, non avrebbe il tempo materiale di coordinare tutte le attività. Benché siano state pensate diverse modalità per rendere l’interfaccia di controllo più user-friendly, la massa di dati e informazioni da processare (che aumenta per ogni gregario che si aggiunge allo sciame) rimane ingestibile da parte di un singolo operatore umano in tempi ragionevoli. Come spiegato da Michael Atwood, vice presidente della divisione Programmi avanzati di General Atomics, “ho volato su uno di questi jet con un tablet. È stato davvero difficile pilotare, per non parlare del sistema d’arma del mio aereo principale, e pensare spazialmente e temporalmente a quest’altra cosa (la gestione dello sciame, ndr)”.

È qui che entra in gioco l’Intelligenza artificiale. Grazie alle capacità computazionali dell’IA, integrata sia nell’interfaccia di comando sia nei singoli droni gregari, la gestione della missione è stata resa molto più rapida, semplificando l’assegnazione delle task e fornendo al pilota un sistema di controllo assistito in grado di interpretare disposizioni rapide da parte del pilota e di tradurle in istruzioni complesse per i droni gregari. Questo è stato reso possibile dall’alto livello tecnologico dei cockpit dei velivoli di quinta generazione, recentemente aggiornati per migliorarne le capacità di ricezione e trasmissione dati. Il passo successivo consisterà nella messa in sicurezza delle comunicazioni tra aereo e gregari. Quanto più i droni armati vengono resi autonomi per operare sulla base di comandi semplici e immediati con l’IA, tanto più diventa importante garantire che la connessione tra questi assetti sia sicura, garantita e sempre disponibile per il pilota. Diversamente, il rischio è quello di lasciare che delle armi potenzialmente letali possano ritrovarsi a prendere decisioni in autonomia senza un intervento umano, violando il principio dello human-in-the-loop, senza parlare dei rischi in caso di jamming da parte dell’avversario. 

Generazione 5.5?

Posto che i caratteri distintivi della sesta generazione saranno il nuovo caccia e i sistemi gregari (componenti insieme un “sistema di sistemi”), pare che lo sviluppo dei due assetti stia seguendo velocità diverse, con lo sviluppo dei gregari che sta registrando livelli di avanzamento ben maggiori rispetto a quelli del velivolo principale. Le ragioni di questa disparità non sono tanto di carattere tecnologico, quanto più ingegneristico ed economico. I droni gregari, che probabilmente saranno impiegati in diverse configurazioni specializzate a seconda dei compiti, sono più economici da produrre, richiedono meno accortezze tecniche legate all’assenza di un pilota umano (spazio nell’abitacolo, sistemi di supporto vitale ecc.) e, soprattutto, dovranno gestire meno informazioni e sistemi d’arma. Diversamente, i caccia di sesta generazione dovranno essere delle macchine ultra-tecnologiche, capaci di unire architetture digitali complesse con capacità di volo e nettamente più performanti rispetto ai velivoli attuali. Questa somma di requisiti innovativi sta creando, ad esempio, diversi problemi al programma statunitense Ngad (Next generation air dominance), il cui costo di produzione stimato rischia di raggiungere cifre tali da renderlo anti-economico persino per la Difesa Usa. Per questo motivo, di fronte alla possibilità che lo sviluppo del caccia prenda più tempo del previsto, molti attori impegnati nella corsa per la sesta generazione hanno deciso di capitalizzare sullo sviluppo accelerato dei droni gregari, iniziando già da ora a integrarli con i caccia di quinta generazione. Così facendo non solo si accorciano i tempi per la sperimentazione (ad esempio, per aumentare il numero di gregari coordinati da un singolo aereo), ma si apre anche la strada a una “generazione 5.5”, risultante dall’unione tra caccia di quinta e gregari pensati per la sesta, che sia operativa entro tempi relativamente brevi.

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Lockheed Martin annuncia di aver reso gli F-35 e gli F-22 in grado di operare congiuntamente con dei droni gregari. Mentre lo sviluppo del caccia di sesta generazione registra rallentamenti e ritardi, le nuove tecnologie hanno dato un boost allo sviluppo dei sistemi autonomi in grado di essere impiegati anche con gli attuali velivoli di quinta generazione

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