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Il Congresso nazionale del popolo cinese ha approvato con una maggioranza enorme (solo 8 astenuti e 8 contrati su circa 3mila delegati) una nuova legge per regolare gli investimenti stranieri nel Paese. La risoluzione è stata costruita rapidamente dal Politburo ed è una misura per permettere alle imprese internazionali di avere un trattamento paritario a quelle statali cinesi.

Il Parlamento di Pechino ha cambiato una legge vecchia degli anni Ottanta, che creava grosse limitazioni per gli stranieri che investono in Cina ed era considerata un elemento di contrasto per gli Stati Uniti. Non è ancora chiaro quali saranno gli effetti di queste nuove aperture che entreranno in vigore dal Primo gennaio 2020 – “dobbiamo aspettare, perché si tratta comunque di riforme strutturali con caratteristiche cinesi” commenta in forma discreta una fonte dal mondo dell’export italiano verso l’Asia – ma la legge votata ieri dovrebbe impedire l’automatismo con cui i cinesi potevano impossessarsi dei segreti tecnologici delle ditte straniere entrate nel proprio business, rubare la proprietà intellettuale, obbligare joint venture a maggioranza cinese.

I temi sono importanti, perché rappresentano alcuni dei punti più delicati tra quelli in discussione nell’ambito dei trade talks con cui Cina e Stati Uniti intendono costruire un accordo/armistizio per fermare lo scontro sul campo commerciale del confronto globale tra potenze. All’interno di questo intenso schema negoziale, per esempio, era previsto un incontro tra Donald Trump e Xi Jinping in Florida, ma è stato rimandato: tra i motivi, c’era proprio la difficoltà trovata finora a gestire argomenti come i furti di proprietà intellettuale permessi dallo Stato cinese.

Lo sprint del Politburo per redarre la legge con cui sospendere le procedure predatorie di Pechino si legherebbe anche al contesto delicato di queste trattative dunque. Pechino ha necessità di chiudere l’accordo perché soffre il peso dei dazi trumpiani. Ora la narrazione dei media cinesi diffonde la nuova legge come un avanzamento riguardo alle aperture economiche, un lancio verso l’economia di mercato (anche in questo caso, comunque, varrebbe la pena aggiungere un “con caratteristiche cinesi”).

Che l’obiettivo dell’azione legislativa cinese fossero gli Stati Uniti è piuttosto chiaro anche dal meccanismo con cui la notizia della nuova legge è passata ai media: insider del Partito comunista hanno infatti comunicato le attività a riguardo al Wall Street Journal, che è contemporaneamente simbolo del mercato libero occidentale e l’unico giornale tra i big dell’informazione statunitense che non ha un rapporto velenoso col presidente Trump. Un messaggio, insomma.

Il nuovo riferimento normativo lascerà comunque 48 settori completamente chiusi agli investimenti stranieri. Ambito come la pesca o la ricerca genetica, o ancora le scuole religiose, e i media, in cui Pechino non permette e non permetterà nessun genere di ingresso dall’esterno.

Nonostante il rinvio del vertice Trump-Xi, i negoziati vengono descritto con toni positivi – lo dicono soprattutto gli americani – e la possibilità di inserire la nuova legge cinese sugli investimenti stranieri nel quadro dei colloqui potrebbe rappresentare per gli Stati Uniti un successo, e per Pechino la modalità con cui garantire la propria sincerità (un interesse per i cinesi, che nel quadro import-export hanno più da perdere che gli americani).

Da non sottovalutare che la legge mirata a rassicurare la comunità globale che la Cina rimane una destinazione di investimento attraente, può avere effetti diretti anche per l’Italia: Roma si appresta a ospitare una delegazione di super-big dell’economia cinese capitanata da Xi stesso, e la visita del presidente dovrebbe essere il momento in cui firmare dozzine di accordi commerciali magari con previste reciprocità.

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Una nuova legge sugli investimenti stranieri in Cina. Messaggio di Pechino per Washington?

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