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Sostiene Ian Bremmer, fondatore e presidente di Eurasia Group, che la principale differenza tra la prima e la seconda amministrazione statunitensi guidate da Donald Trump è rappresentata dalla lealtà come caratteristica fondamentale per le persone chiamate a farne parte. Howard Lutnick, co-presidente del transition team e indicato da Trump come segretario al Commercio, lo aveva detto un mese prima del voto al Financial Times: assegneremo i ruoli in base a “capacità, fedeltà e lealtà” alla politica di Trump.

Oggi basta dare un’occhiata alle uscite forzate di diplomatici di carriera dal dipartimento di Stato o ai funzionari chiamati a far parte del Consiglio di sicurezza nazionale per rendersene conto. Ma non solo. Non hanno ricevuto incarichi molti esponenti della prima amministrazione: Mike Pence, l’ex vicepresidente; Reince Priebus, primo capo di gabinetto della Casa Bianca con Trump; Mike Pompeo, ex capo della Central Intelligence Agency e segretario di Stato; Jim Mattis, ex segretario alla Difesa; Gary Cohn, ex direttore del Consiglio economico nazionale; Nikki Haley, ex ambasciatrice alle Nazioni Unite. Si tratta di figure che nel primo mandato di Trump non si sono allineati alle politiche del presidente, sono stati accusati di essere stati responsabili di continue fughe di notizie e non l’hanno sostenuto dopo sulle contestazioni al voto del 2020.

Secondo Bremmer, però, esiste una divisione ideologica importante all’interno dell’amministrazione, quella tra i “Dark Maga” e i “Deep Maga”. I primi, che hanno in Elon Musk il loro leader, meno regolamentazioni, un governo più snello, tasse più basse per aziende e individui. “Tra i sostenitori di Dark Maga troviamo gran parte del gabinetto, i principali finanziatori e i libertari del settore tecnologico”, dice Bremmer. I secondi, di cui Steve Bannon vorrebbe essere la guida, sono prevalentemente lavoratori e classe media, meno istruiti e disillusi dall’élite politica, economica e culturale del Paese, chiedono un governo più interventista, maggiore sostegno per la classe lavoratrice e media e restrizioni severe a ogni tipo di immigrazione (sia legale sia illegale); “Drain the swamp” è il loro motto, ereditato dalla prima amministrazione Trump, che punta a combattere il “Deep State” e il “partito unico” più che a ridurre la spesa pubblica. Non c’è (per ora?) un vero e proprio leader di questa seconda fazione. Stephen Miller, vice capo di gabinetto della Casa Bianca, è l’uomo più vicino a esserlo all’interno dell’amministrazione.

“Una prima avvisaglia si è vista nelle discussioni sui visti H-1B, culminate nel contrasto tra Musk e una schiera di influencer populisti vicini al movimento Maga”, spiega Bremmer. “La tensione è diventata più esplicita quando Bannon ha accusato Musk di essere un ‘sostenitore del tecno-feudalesimo su scala globale’ e ha dichiarato che Musk sarebbe stato estromesso prima dell’inaugurazione. Questo non è accaduto, ma i contrasti ideologici restano significativi e meritano un’analisi”, dice ancora il politologo.

La mappa del potere trumpiano spiegata da Bremmer (Eurasia Group)

Ian Bremmer evidenzia la centralità della lealtà e una spaccatura tra “Dark Maga” di Elon Musk, favorevole a deregulation e tasse basse, e “Deep Maga” di Steve Bannon, orientata verso interventismo e limiti all’immigrazione

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