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I toni e i contenuti del dibattito sulla cooperazione indicano che siamo arrivati al cuore di una vera e propria emergenza culturale. Padre Giulio Albanese, missionario per decenni in Africa e ora direttore della rivista missionaria della Cei, “Popoli e Missione”, ne è convinto anche alla luce degli eventi recenti. La nostra discussione pubblica sulla cooperazione internazionale non è il prodotto di questioni economiche, di opzioni politiche, gli appare piuttosto la spia di un’autentica emergenza culturale sempre più grave e acuta, che cresce da tempo e produce un effetto deleterio che si aggrava, cioè il separarci dal mondo, da ogni “Altro”.

“Per un credente questo vuol dire che molti e tra questi anche credenti non hanno capito il senso di tutto il magistero di Papa Francesco”. La chiusura, l’illusione di un possibile autoisolamento o di autosufficienza arriva a legittimare la domanda se alcuni credenti credano, e in cosa. Parlare ancora oggi di cooperazione con i paesi poveri per padre Giulio Albanese è incredibile, dimostra da un lato il non aver colto l’urgenza principale della Laudato si’, della difesa della casa comune, dell’emergenza ambientale che non è a compartimenti stagni, e dall’altra dimostra il non aver ancora capito che i paesi poveri non sono poveri, ma paesi ricchissimi che sono stati impoveriti dall’esterno, da un’economia che uccide, un’economia predatoria, “capace di fare del debito internazionale un prodotto finanziario da vendere e quindi non più rimborsabile, estinguibile.

In questo contesto il volontariato, come la missionarietà, diventa una scelta, ma non quella di soddisfare un desiderio di altruismo, ma quella di arricchirsi grazie all’altro, cioè riscoprendo l’alterità, senza la quale non c’è vita culturale, celebrale, non c’è crescita, non c’è speranza, non c’è vero arricchimento.

“Ogni ipotetico arricchimento miope dura poco e visto che il prodotto dell’illusione di potersi arricchire fuori da ogni contesto avvizzisce e diventa inevitabilmente impoverimento: perché questo arricchimento miope diventa presto impoverimento culturale, perdita di know how, estinzione di informazione. Viviamo in un mondo globalizzato senza occuparci di cosa accade al piano sottostante il nostro e pensiamo pure di essere furbi, più furbi”.

Invece, prosegue il suo ragionamento, così facendo finiamo fuori dal mondo e privandoci dell’alterirà finiremo col ritrovarci materialmente e culturalmente impoveriti. Questa per padre Giulio Albanese “è l’emergenza culturale dell’oggi, di un io che arriva a credersi così sovrano da potersi illudere dell’autosufficienza, di poter vivere da solo, incurante dell’ambiente in cui vive e dell’umanità che lo circonda”, quasi che quest’ultima sia un problema e non la vera risorsa, anche per noi. Così i volontari, che non sono cooperanti perché non sono dei professionisti retribuiti, ma appunto dei volontari, sembrano avere sì una smania d’altruismo, ma verso di noi, immersi in un’autoreferenzialità che può condurci alla marginalità e all’autoesclusione, dal nostro contesto, dallo sviluppo e quindi dal futuro, nel nome di un’illusione fatta solo di presente.

Silvia Romano e l'altro. La spia di un’emergenza culturale spiegata da padre Giulio Albanese

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