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Dall’uccisione di Jamal Khashoggi alla fragile tregua (tuttavia più volte violata nel corso delle ultime ore) di Hodeidah, in Yemen potremmo essere giunti ad un punto di svolta. Il giornalista, che nei suoi articoli aveva spesso scritto della necessità di terminare la tremenda guerra nel Paese, invitando l’Arabia Saudita a “usare il suo potere e la sua influenza all’interno degli ambienti occidentali” per risolvere il conflitto, potrebbe forse rivelarsi la chiave di volta della vicenda. Ma le incognite sono ancora molte. In ogni caso, questo, insieme alle pressioni (anche statunitensi) sul principe ereditario saudita Mohammed Bin Salman perché accetti un accordo di cessate il fuoco, mettendo fine al conflitto, potrebbe aprire uno spiraglio di speranza. Formiche.net ne ha parlato con Ludovico Carlino, senior analyst del Ihs Markit: “Nella realtà sono mesi che un cospicuo blocco democratico in seno al Congresso Usa sta spingendo per chiedere maggiore accountability per la condotta militare saudita nello Yemen”, ha spiegato Carlino.

Quali sono, ad oggi, i nuovi equilibri regionali in gioco dopo la delicata, quanto instabile tregua di Hodeidah?

Più che di tregua ad Hodeidah credo sia più opportuno parlare di de-escalation, poiché di questo si tratta nei fatti. Nei fatti la tregua, se mai ci sia stata, è durata pochi giorni nel corso del fine settimana passato ma non si è tradotta in uno stop totale dei combattimenti, tanto ad Hodeidah quanto negli altri fronti che vedono contrapposti i militanti Houthi e le forze appoggiate dalla coalizione a guida saudita. Tra l’altro, il capo delle del Comitato Supremo Rivoluzionario degli Houthi, Mohammed ali al-Houthi, ha rilasciato un comunicato due giorni fa nel quale sostanzialmente apriva alla possibilità di un cessate il fuoco offrendo uno stop agli attacchi con missili balistici verso il territorio Saudita o degli Emirati, comunicato seguito dopo appena un giorno dal lancio di due missili verso le posizioni della coalizione ad Hodeidah e Midi (città portuale lungo il Mar Rosso verso il confine saudita). Allo stesso modo, funzionari militari della coalizione a guida saudita hanno accolto positivamente l’apertura degli Houthi, ma i raid su Hodeidah (come i combattimenti all’interno della città) sono ripresi in mattinata, ad indicare come la strada verso una cessazione delle ostilità non sia proprio dietro l’angolo.

Nello specifico, dunque, cosa sta accadendo e cosa dovremmo aspettarci?

In un quadro più ampio, questi tentativi di de-escalation e di far ripartire i colloqui di pace sponsorizzati dall’Onu sono a mio avviso un indicatore del tentativo di tutte le parti coinvolte, quindi Emirati Arabi ed Arabia Saudita da una parte e gli Houthi dall’altra, di trovare una via d’uscita al conflitto nello Yemen, parte delle realizzazione che sarà impossibile avere la meglio da un punto di vista militare. Non è un caso che la scorsa settimana una delegazione di Islah (movimento e partito Islamista yemenita sulla falsa riga dei Fratelli Musulmani, quindi fino ad oggi osteggiato dagli Emirati) sia stata ricevuta per la prima volta negli Uae, ulteriore segnale di come anche gli Emirati si stiano rendendo conto della necessità di un approccio inclusivo per quanto riguarda il dossier yemenita.

Quali invece i risvolti nel rapporto tra Arabia Saudita-Iran e Riad-Emirati Arabi?

Per quanto riguarda l’Iran, i segnali dell’ultima settimana suggeriscono una cauta apertura di Teheran all’idea dei colloqui di pace. Il grande interrogativo, al quale non è facile dare una risposta, è quanto controllo l’Iran è in grado di esercitare sugli Houthi. La relazione tra Iran ed il movimento zaidita yemenita è a mio avviso uno dei più complessi da decifrare nello scenario medio-orientale, ma di certo non siamo in presenza di un gruppo in stile Hezbollah manovrato direttamente dall’Iran.

Le nuove frequenze del rapporto tra Arabia Saudita e Stati Uniti dopo il caso Khashoggi?

È indubbio che le ripercussioni che il caso Khashoggi sta avendo sui rapporti tra Stati Uniti e Saudi Arabia abbiano giocato un ruolo nel riportare la questione dello Yemen in primo piano, se non altro a leggere le dichiarazioni più decise da parte dell’amministrazione Usa e gli appelli ad una rapida conclusione del conflitto, ma nella realtà sono mesi che un cospicuo blocco democratico in seno al Congresso Usa sta spingendo per chiedere maggiore accountability per la condotta militare saudita nello Yemen. L’impressione è che l’amministrazione Trump difficilmente forzerà la mano con Riyadh, o che sia in grado di cambiare i piani emiratini e sauditi che vogliono Hodeidah sottratta agli Houthi prima di intavolare qualsiasi discorso di pace.

hodeida yemen

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