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I cultori della materia sono stati attratti ieri da due notizie. La prima è quella del lancio da parte delle organizzazioni rappresentative delle imprese di una carta per l’economia circolare.

Confindustria, Confartigianato Imprese, Cna, Casartigiani, Claai, Confcommercio, Confesercenti, Confagricoltura, Confcooperative, Legacoop e Confapi hanno sottoscritto la “Carta per la sostenibilità e la competitività delle imprese nell’economia circolare”.

Secondo le undici associazioni di imprese “per affrontare le nuove sfide ambientali e cogliere le opportunità offerte dalla digitalizzazione dei processi produttivi e di consumo, è necessario un cambio di approccio da parte di tutti gli stakeholder e il coinvolgimento del sistema economico nel suo complesso”.

Il documento individua 10 linee di intervento e punti programmatici che, attraverso un percorso di impegni concreti, sarà la base per l’avvio di un confronto con gli interlocutori istituzionali. I 10 punti “affrontano aspetti di carattere regolatorio, normativo, economico e tecnologico, dall’abbattimento delle barriere burocratiche, alla necessità di favorire investimenti in ricerca e innovazione, fino ad arrivare ad una capacità impiantistica virtuosa”.

La seconda è quella che si riferisce all’intervento del ministro della Giustizia Alfonso Bonafede che, dinanzi alla Commissione bicamerale d’inchiesta, sulle attività illecite connesse ai rifiuti, ha affermato che sui reati ambientali sono allo studio revisioni. Tra le criticità la necessità di sanzioni più severe, cioè penali, al posto di quelle amministrative. Secondo il ministro chi compie un’attività inquinante potrebbe pensare “al limite pago la sanzione perché nel frattempo mi conviene” rispetto a mettersi in regola con i requisiti tecnici.

Due distinte linee d’intervento che costituiscono un falso dilemma. Infatti, se non sono chiare le norme, come riuscire ad applicare sanzioni adeguate e dissuasive?
Prima di revisionare una legge sui reati ambientali, va quindi posto il problema del quadro normativo.

Le undici associazioni hanno fatto bene ad evidenziare l’importanza di affrontare innanzitutto gli aspetti di carattere regolatorio, normativo, economico e tecnologico, ivi incluso l’abbattimento delle barriere burocratiche.

Qualche suggerimento su questi aspetti? Innanzitutto avviare procedure di consultazione nel corso delle quali sono raccolte quelle osservazioni che provengono dai destinatari della norma, dagli utenti, da quelli che poi saranno costretti ad applicarla: le pubbliche amministrazioni, le imprese, le associazioni ambientaliste, i singoli cittadini, ecc. Ovviamente neanche questa modalità è miracolosa, tuttavia, se la leghiamo a degli obiettivi precisi potrebbe aiutare a cambiare direzione.

Alcuni obiettivi da perseguire potrebbero essere questi. Primo, rendere l’amministrazione ambientale eccellente, assicurando la partecipazione dei destinatari delle norme nella fase stessa di predisposizione.

Secondo, introdurre istituti giuridici che agevolano la compliance delle norme ambientali. Il primo istituto da applicare anche in materia ambientale è la cosiddetta “prescrizione ad adempiere” (art. 20, D. lgs. 758/1994; artt. 301, 301-bis e 302, D. lgs. 81/2008), prevista nella disciplina di sicurezza del lavoro. Quando sussista una violazione formale, dalla quale non è derivato un danno al bene tutelato, l’amministrazione, ovviamente sempre sotto la vigilanza del magistrato penale, ha la possibilità di impartire all’interessato una prescrizione, osservata la quale l’illecito si estingue. Anche nel processo civile vige il principio che per “gli atti del processo, per i quali la legge non richiede forme determinate, possono essere compiuti nella forma più idonea al raggiungimento del loro scopo”. Il secondo istituto è il cosiddetto “diritto di interpello”. Le norme più applicate sono quelle meglio conosciute. Si può aggiungere anche: quelle meglio (comprensibili e) comprese. Una legge non compresa dai destinatari che effetto produce sulla società? Nessuno o contraddittorio, non serve a niente.

Terzo, un regolamento che elimini atti normativi incompatibili con il “goldplating” in materia ambientale. Quarto, valorizzare al meglio la normativa tecnica e le norme di settore, a condizione che quest’ultime siano adottate con un minimo di pubblicità e trasparenza e in coordinamento con l’autorità.

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