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Per la Germania è un po’ come il nostro Mps. Una grande banca, con una storia alle spalle, ma dal presente difficile e dal futuro incerto. Deutsche Bank è la grande malata di Germania, nonostante continui a rimanere il primo istituto tedesco per rete e capitalizzazione. Ma non basta contro bilanci intrisi di debiti e derivati, che hanno reso vulnerabile la banca tanto da costringere il governo tedesco a intervenire, aprendo il cantiere della fusione con l’altro gigante tedesco, Commerzbank (qui l’articolo con tutti i dettagli). La quale però a differenza di Deutsche Bank ha chiuso il 2018 con 865 milioni di utile, facendo rivedere ai suoi azionisti il dividendo. Per l’istituto di Francoforte sul Meno le cose stanno diversamente: gli ultimi dati disponibili parlano di mezzo miliardo di perdite con ricavi scesi del 19% a 5,7 miliardi di euro solo nell’ultima fase del 2017. Insomma guai seri in casa, ma anche fuori. Perché per la banca teutonica si è aperto ufficialmente un altro fronte, quello americano.

L’indiscrezione è trapelata silenziosamente da Bloomberg news. L’istituto vanterebbe un grosso credito, quasi 350 milioni di dollari, nei confronti della Trump Organization, la holding cui fanno capo tutte le attività, immobiliari e non, del presidente americano. Al punto da valutare nei mesi scorsi la ristrutturazione dei circa 340 milioni di dollari di prestiti concessi alla holding della famiglia Trump. Un’idea presa in considerazione proprio dopo le elezioni presidenziali del 2016, ipotizzando di allungare i tempi per la restituzione dei prestiti dal 2023-2024 al 2025, ovvero alla fine di un eventuale secondo mandato alla Casa Bianca di Trump.

In Germania sembravano piuttosto preoccupati dalla possibilità di ritrovarsi a rincorrere gli asset di un presidente in carica. Alla fine prevalse il realismo e Deutsche Bank decise di non ristrutturare i prestiti, scegliendo solo di non fare affari con Trump fino alla fine della sua presidenza. Prova ne è, ha scritto Bloomberg, che nel 2016, Francoforte negò nuovi prestiti alla Trump Organization.

I guai americani di Deutsche Bank non si esauriscono qui. C’è un’altra grana che porta direttamente oltre l’Atlantico. Deutsche Bank ha registrato 1,6 miliardi di dollari di perdite sui municipal-bond (muni-bond) in Usa nel corso di un decennio. Il colosso bancario tedesco aveva acquisito nel 2007 un portafoglio di obbligazioni emesse dai piccoli enti locali, da 7,8 miliardi di dollari, pagando successivamente 140 milioni a Berkshire Hathaway, la finanziaria di Warren Buffett, per assicurarsi contro il default dei titoli. Negli anni seguenti il management di Deutsche Bank avrebbe ritardato il riconoscimento delle perdite, scatenando un dibattito interno tra dirigenti e revisori e scegliendo alla fine di vendere le obbligazioni in perdita e di ritirare la sua assicurazione con Berkshire, ma le perdite erano ormai iscritte a bilancio.

Un’ultima questione riguarda i dazi sulla auto europee importate negli States e che rischiano di provocare a livello globale mancati ricavi per 500 miliardi secondo Moody’s (qui l’articolo di ieri con tutti i dettagli). Dimentichiamo per un attimo il costruttore di auto, ma pensiamo alla filiera che c’è dietro, alias le Pmi fornitrici di pezzi. Molte vivono di prestiti concessi dalle banche. Se la casa automobilistica vende meno su un mercato strategico come quello americano, ci sarà a ritroso meno domanda di pezzi e dunque meno fatturato per la piccola impresa. Che, con ogni probabilità, avrà più difficoltà a restituire i prestiti. Magari concessi da Deutsche Bank.

Tutti i guai americani di Deutsche Bank

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