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A volte bisogna farsene una ragione. E Berlusconi sembra essersene fatta finalmente una. Ci son voluti sei mesi abbondanti, tanti ne son passati da quella sera del 4 marzo in cui si sono delineati i risultati delle elezioni politiche, per ammettere, prima di tutto a sé stesso, che il nuovo leader del centrodestra non è più lui. E che costui, da lui non stato scelto né nominato, forte del consenso popolare, è autonomo e fuori controllo. Deve essere stato dure accusare il colpo per chi, con mille ragioni, si è sempre considerato, a ragione, il fondatore del centrodestra e si era col tempo convinto di essere il più amato dagli italiani. Almeno quelli non “di sinistra”. A prescindere. Il responso delle urne, imprevisto e forse imprevedibile, gli faceva saltare poi, in un sol baleno, tutti i progetti politici. A cominciare da quella riconquistata alleanza con la Merkel e con la classe dirigente europea a cui aveva garantito di tener sotto controllo un Salvini già da tempo particolarmente ingombrante.

Ma la politica è bella perché scombina continuamente i piani e, per dirla col ministro Savona, dà essa le carte. Politico di razza, nonostante tutto, Berlusconi è stato e rimane: con un certo ma naturale ritardo ha capito (cosa che la sinistra non ha ancora realizzato) che un tempo, quello della Seconda Repubblica, era definitivamente finito e che lui ormai era percepito, in primis dal suo elettorato, come il “vecchio”. Certo, Salvini radicalizza le posizioni del centrodestra, ma ormai le idee “sovraniste” sono egemonia nel continente e anche oltreoceano. Delle due l’una: o rinchiudersi nella vana declamazione di ciò che non è più, e casomai indignarsi (è la strada seguita dal Pd); oppure stare al gioco, fare politica, e puntare a portare a casa il massimo risultato possibile, sia in termini di spazi di potere sia in termini ideali.

La politica ha le sue regole, a cui è vano e inutile opporsi. E Berlusconi ha mostrato, con sano realismo, di tener ferme ad esse e di accettarle. D’altronde, la vicenda Rai, e altre piccole vicende e considerazioni sulle giunte locali, gli hanno mostrato che anche Salvini in qualche modo aveva ancora bisogno di lui e del suo (per quanto sempre più striminzito) elettorato. È questo, a me sembra, il significato più generale dell’incontro di ieri ad Arcore. La domanda che ci si pone è se, dopo di esso, cambierà qualcosa nella politica italiana? A breve direi proprio di no. Ma in prospettiva una ricomposizione del centrodestra è un’arma che Salvini può giocare sia nei confronti dei multiformi alleati pentastellati sia nei confronti del corpo elettorale di centrodestra a cui è da oggi lecito lasciare intravedere equilibri futuri di governo più “naturali” e accettabili. Inutile dire che una semplificazione e una chiarificazione delle forze e delle politiche in campo sarebbe positivo per l’intero nostro sistema politico.

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Perché Salvini ha ancora bisogno di Berlusconi (e del centrodestra)

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