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La Corea del Nord è di nuovo al centro di una serie di dinamiche diplomatiche globali, che coinvolgono Stati Uniti, Russia e Cina. Tre giorni fa, il segretario di Stato americano, Mike Pompeo, l’uomo che ha tessuto personalmente i rapporti tra Washington e Pyongyang attraverso visite e incontri diretti, ha gettato le fondamenta per un secondo incontro tra Kim Jong-un e Donald Trump. Pompeo è stato a Pyongyang per rinfrescare un dossier su cui il Presidente Trump ha investito molto capitale politico – prima le minacce, poi l’avvicinamento e l’incontro verso la denuclearizzazione e la pace – che viaggiava per inerzia. Serve dinamica al fascicolo nordcoreano anche per ragioni interni: Trump è impegnato in rally elettorali in vista delle elezioni di metà mandato, e un conto è spendere qualche parola grintosa su certi successi, un altro è dover sorvolare l’argomento per manifesta inattività.

Kim è pronto a permettere agli ispettori internazionali di visitare sia il sito di test nucleari sia quello sperimentale dei missili, annuncia Pompeo: ed è importante perché un argomento centrale nel concetto di denuclearizzazione inteso dagli americani come la conditio per il successo sul dossier. O disarmate, dice Washington, non se ne fa niente, vi tenete le sanzioni e restate uno stato paria; lo faremo con i nostri tempi, intanto accontentatevi della fine dei test, dice Pyongyang. L’ingresso degli ispettori internazionali dà la possibilità di fare un quadro oggettivo e realistico, una classificazione trasparente – fin quanto dipenderà da quello che i nordcoreani permetteranno – della situazione. E certe liste sono il punto di partenza per il disarmo (e soprattutto, così possono essere raccontate al pubblico).

Pompeo ha parlato in conferenza stampa da Seul, seconda tappa della sua tre giorni in Oriente. Era stato lo stesso Kim, durante il summit di settembre con il sudcoreano Moon Jae-in (l’alleato che gli americani devono ringraziare per aver aperto la stagione dialogante sul dossier attraverso i suoi incontri col leader cugino), a proporre di portare nel suo Paese gli ispettori. Ultima tappa del viaggio lampo di Pompeo è la Cina, dove il fascicolo nordcoreano può essere usato come terreno comune in un quadro molto teso dei rapporti – né Washington né Pechino vogliono che la situazione precipiti – ma può anche essere speso dai cinesi come leva nel confronto con gli americani, visto il controllo che il Celeste Impero ha sulla dittatura settentrionale della penisola coreana.

Moon ha tenuto una riunione di gabinetto per commentare la visita di Pompeo, e dal resoconto ne è uscito un quadro articolato. Il presidente sudcoreano ha fatto sapere che presto il cinese Xi Jinping visiterà Pyongyang – ed è del tutto lecito pensare che la diplomazia di Pechino giocherà, come ha sempre fatto finora, d’anticipo su quella americana, dunque la visita arriverà prima del secondo incontro Trump/Kim. Questo è importante: Xi è salito al potere nel 2013 e non ha mai visitato il Nord, considerato un satellite dall’importante valore strategico (per via di quei leverage da poter usare sugli Usa) ma anche problematico, per via di certe mattane di Kim non adorate da Pechino. Il mese scorso il presidente cinese ha scelto di non prendere parte alle celebrazioni per il 70mo anniversario della Corea del Nord, e via ha inviato Li Zhanshu (stretto collaboratore della presidenza, che in una gerarchi spicciola del Partito comunista cinese potremmo indicare come “il numero tre”). L’ultima visita di Xi a Pyongyang risale al 2008, quando ricopriva la carica di vicepresidente.

Moon, che è praticamente diventato il portavoce di lusso del gomitolo di diplomazia attorno al Nord, ha anche fatto sapere che molto probabilmente il satrapo nordcoreano andrà in Russia, dove presumibilmente incontrerà Vladimir Putin, che otterrà grazie a questa visita un ruolo di attore protagonista sul dossier – Mosca ambisce una presenza perché vede, a ragione, la questione nordcoreana come uno degli argomenti attorno a cui si dipanano le dinamiche delle relazioni tra potenze globali. Poi Moon ha aggiunto che non è del tutto escluso un incontro di qualche livello tra Corea del Nord e Giappone.

In definitiva, in un’analisi sul risultato di quel che sta accadendo, il vincitore dell’attuale fase è certamente Kim, che riesce a mobilitare attorno a lui tutto il mondo che conta, a trasformarsi da un pazzo seduto su una polveriera a uno statista di calibro internazionale, interlocutore ascoltato dalle grandi nazioni del pianeta – e in seconda battuta esce positivamente la Cina, che ha lavorato da tempo per concludere il dossier attraverso una via dialogante e allargata. Merito dell’attuale fase, va infine a Moon, che ha innescato l’intreccio di relazioni facendo il primo passo verso Pyongyang.

(Foto: ufficio stampa governo nordcoreano)

Al gran ballo di Kim. Così la Corea del Nord resta al centro della scena

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