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L’avvio della campagna elettorale per le europee, condotta con largo anticipo, sta producendo i suoi frutti avvelenati. Basti pensare al conflitto con la Francia, dove per un “pugno di voti” in più – sempre che questo poi si realizzi – si rischia di brutto. A partire da Alitalia: partita dalla quale Air France-Klm sembra intenzionata a tirarsi fuori. “Motivi politico – istituzionali”: secondo quanto riferiscono fonti accreditate. Che tradotto significa: se date manforte ai gilet gialli più scalmanati, non contate più su di noi.

Nel caso delle Banche venete, ci risiamo. Lo schema è sempre lo stesso. Luigi Di Maio, in grande difficoltà, come risulterebbe dagli ultimi sondaggi in Abruzzo (domenica una prima verifica), spara alla luna. E Matteo Salvini, per non farsi scavalcare e concedergli terreno, gli va dietro. Ecco allora spiegato il duplice attacco di entrambi a Banca d’Italia e Consob, di fronte alla vasta platea dei risparmiatori truffati dai vecchi manager delle due banche, ora assorbite da Banca Intesa.

Utilizzeremo le risorse, già appostate in legge di Bilancio (1,5 miliardi), per risarcire tutti coloro che il danno l’hanno subito. Tutti: la vecchietta che si è fidata delle promesse millantatrici della banca. E il professionista benestante attirato dai presunti facili guadagni di rendimenti elevati. Che, essendo tali, non potevano non incorporare un tasso di rischio particolarmente consistente. I rilievi delle istituzioni europee – Commissione e Bce – che la legge di Bilancio cancella con un colpo di spugna. Sarà da vedere quali saranno gli ulteriori sviluppi di questa vicenda. C’è in ballo l’ipotesi di una procedura d’infrazione. Ad inasprire ulteriormente i relativi rapporti.

Qualche ragione è, tuttavia, dalla parte dei due vice presidenti. I fallimenti bancari, che si sono susseguiti in questi anni (le due banche venete, Etruria, Banca Marche, Cariparma, Cariferrara ed ora Carige) hanno avuto cause diverse. Hanno scontato la crisi dei relativi territori, a seguito del grande shock del 2007, che ha contribuito a cambiare il volto della Penisola. Regioni che, in precedenza si sviluppavano ad un ritmo maggiore, per la presenza di un forte tessuto produttivo di piccole e medie industrie, hanno visto ridimensionarsi drasticamente le rispettive prospettive. Ne sono derivati grandi e piccoli fallimenti, che hanno prodotto sofferenze bancarie e quindi il successivo bail in degli istituti di credito di riferimento.

Sul terreno sdrucciolevole della crisi si sono tuttavia sviluppati fenomeni di mala gestio da parte degli amministratori. Crediti concessi a chi non doveva averli, ma era in grado di ottenerli per via traversa. Collusioni con i potentati locali: politici o meno. Speculazioni più o meno sballate e comunque cariche di moral hazard. Insomma un insieme di azioni, che la Vigilanza della Banca d’Italia doveva intercettare e reprimere. Cosa che, nelle migliori delle ipotesi, si è verificato con un colpevole ritardo. Le stalle sono state chiuse, il più delle volte, quando i buoi erano già fuggiti.

Capire dove inizi il dato congiunturale – la crisi produttiva – è quello di una gestione fin troppo spensierata non è facile da individuare. Nel caso delle due banche venete, tuttavia, il secondo appare prevalente, data la maggiore resilienza del nord est rispetto alla crisi nazionale. È quindi probabile, per non dire certo, che in questi due casi sia stata soprattutto la malversazione a farla da padrone. Responsabilità del management, ma anche di chi doveva vigilare. E non lo ha fatto. Del resto la circostanza che quest’ultima attività ispettiva, per tutti i Paesi dell’Eurozona, sia stata avocata dalla Bce, dimostra che qualcosa non andava. In Italia, come in Germania dove, nonostante la diversa stazza economica e finanziaria di quel Paese, rimangono problemi.

Nel clima elettorale, dai toni sempre più gridati, si possono comprendere le tesi minacciose dei due pilastri del governo gialloverde: occorre azzerare i vertici della Banca d’Italia e della Consob, come se, in questo secondo caso, non si fosse già proceduto ad indicare, come presidente, Paolo Savona. È bene, tuttavia, non dimenticare che l’autonomia di Banca d’Italia è garantita dai Trattati internazionali. La scelta dei relativi dirigenti non può quindi avvenire con il ricorso ad uno spoil system smaccatamente politico. Quando l’operazione fu tentata da Matteo Renzi, contro l’attuale governatore, la sua sconfitta fu inevitabile. Perseverare nell’errore sarebbe semplicemente diabolico. Giuseppe Conte ha fatto sapere che sta meditando. Bene. Che la notte gli porti consiglio.

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Banche venete, come si spiega il duplice attacco di Salvini e Di Maio a Consob e Bankitalia

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